-di SANDRO ROAZZI-
Chiudere gli occhi sul passato qualche volta evita avvilimenti ma non è comunque salutare per costruire il futuro. Una ricerca del Censis ci informa che nell’Italia del miracolo economico (anni ’50) i giovani erano il 57% della popolazione, in quella che il Censis chiama oggi l’Italia del letargo (meglio che…declino) invece sono scesi al 35%. Altro che scontro generazionale caro a certi soloni dei nostri tempi: ben 8 milioni di persone arrivano a rifiutare i rapporti con le altre generazioni, si “chiudono” in una sorta di recinto di vita generazionale sia quando vanno da un medico o fanno un viaggio. Del resto secondo il Censis negli ultimi 15 anni i giovani sono calati di 2,3 milioni di unità, mentre i loro nonni e bisnonni sono saliti dal 2001 di un milione e mezzo di persone.
Il futuro è degli… anziani? In realtà a tener botta sono i baby boomers che sono aumentati negli ultimi 15 anni di oltre tre milioni di unità, ma l’escalation degli anziani è notevole: rispetto all’Italia degli anni ’50 il boom degli ultra-sessantacinquenni è notevole. Nel 1951 i grandi vecchi con 80 anni e oltre erano solo 622.000, mentre oggi sono poco meno di 4 milioni. Le persone di 90 anni e oltre erano appena 28.000, mentre oggi hanno superato le 666.000 unità. Per fortuna gli anziani sono aperti al dialogo generazionale e spesso sono una garanzia economica in famiglia.
Ma se guardiamo al futuro previdenziale ad esempio non c’è da stare allegri. E comunque come può essere accettabile che nel futuro dell’Italia la minoranza sociale più evidente sia costituita da giovani?
Ancora una volta la capacità di inventare lavoro diventa cruciale, anche ai fini di una migliore socializzazione. Ma ci vuole chiarezza, ovvero progetti ma anche evitar di rinunciare al ruolo delle rappresentanze sociali.
Che è utile ancora. Oggi la Uil si è esercitata sulle ipotesi allo studio per introdurre forme di flessibilità da lavoro a pensione. Ed ha evidenziato quel che si poteva immaginare: in primo luogo che il cosiddetto prestito bancario da rimborsare con le rate dell’assegno previdenziale accompagnerà il pensionato per tutta la vita. E per un lavoratore che intendesse andare un anno prima in pensione con un trattamento di 1000 euro lordi mensili il taglio per le 13 mensilità gli farebbe rimanere in tasca 807 euro al netto di rate e tasse… Una mensilità in meno l’anno. Se si sceglie di uscire dal lavoro due anni prima ricevendo un trattamento di 1500 euro lordi mensili l’assegno netto scende a 1031 euro nette. La Uil ricorda infine che se si andasse in pensione con tre anni di anticipo con un trattamento attorno ai 3000 euro lordi, il netto che resterebbe sarebbe inferiore ai 1700 euro. Con un salasso di due mensilità l’anno perdute. Ma il sindacato fa anche delle simulazioni nel caso che gli interessi non fossero a carico dello Stato ma del lavoratore. Gli 807 euro dell’anticipo di un solo anno scenderebbero a 788 euro, peggio ancora per gli altri casi. Morale? Rimane l’esigenza di applicarla questa flessibilità ma sapendo che è un percorso di guerra… da affrontare con buon senso e dialogo. Evitando per giunta una punitiva giungla delle pensioni.