Primarie,la lezione del caso Trump

-di GIANCARLO MERONI-

La conquista da parte di Donald Trump della maggioranza dei delegati alle primarie del Partito repubblicano per la nomina del candidato alla presidenza degli Stati Uniti potrebbe aprire un capitolo nuovo nella riflessione politica sulle forme di partecipazione democratica alla selezione e alla nomina dei gruppi dirigenti, soprattutto al più alto livello.Mai era avvenuto, infatti, che la leadership del Partito, non solo si pronunciasse contro un suo candidato, ma mandasse al massacro, gli altri competitori per cercare di sottrargli il massimo numero possibile di deleghe.
Come se non bastasse, il Presidente del Partito, dichiara di non poterne sostenere la candidatura in mancanza di un riadattamento del suo programma politico a quello del Partito per ricostituirne l’unità.

Questo conflitto emblematico evidenzia uno scollamento nel procedimento istituzionale di formazione della rappresentanza politica fra il Partito, soggetto politico identitario e universalistico e la base elettorale generica, espressione di un insieme di interessi particolari e contraddittori. Secondo un’indagine del Washington Post, si verifica, così, il paradosso che, Donald Trump ottenga la maggioranza nelle primarie pur essendo valutato negativamente, non solo dall’elettorato di tendenza democratica, ma anche dalla grande maggioranza di quello a tendenza repubblicana di tutte categorie sociali prese in considerazione.

In questo scenario una vittoria di Trump potrebbe verificarsi solo sulla base di una coalizione eterogenea che si potrebbe caratterizzare solo in negativo cioè contro qualcuno o qualcosa e quindi in conflitto anche con il suo Partito. Al momento questa eventualità appare improbabile in quanto Hillary Clinton ha il controllo del Partito Democratico e ottiene la valutazione favorevole del suo elettorato e di una buona parte di quello repubblicano. Tuttavia una tale eventualità potrebbe prodursi: in questo caso che cosa succederebbe? In quale modo si potrebbe garantire la stabilità politica? Non si tratta di un quesito teorico, ma di un problema concreto che ci riguarda da vicino.

L’esperienza delle primarie fin qui effettuata, soprattutto a livello regionale, conferma la sindrome Trump. L’elezione nelle liste del PD (o di altro partito) di candidati che non ne sono l’espressione introduce un pericoloso elemento di opacità e ne compromette la coerenza dell’azione politica e la stabilità. Con questo non si intende negare l’importanza di sperimentare forme di partecipazione, il più possibile inclusive, nella formazione della classe dirigente, ma cogliere l’occasione per aprire una riflessione critica , anche alla luce dell’esperienza americana. E’ probabilmente venuto il tempo di applicare l‘articolo 49 della Costituzione.

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