-di ANTONIO MAGLIE-
Quel verbo declinato in prima persona singolare (“Sogno”) ha risuonato lungamente ricordando un altro storico discorso, quello di Martin Luther King (“I have a dream”, pronunciato al Lincoln Memorial di Washington il 28 agosto del 1963). Perché è l’immaginazione al potere che trasforma l’impossibile in possibile. Li ha accolti in Vaticano sapendo che venivano a consegnargli un premio autorevole che viene deciso ad Aquisgrana, il premo Carlo Magno. Ha stretto le mani di Angela Merkel, di Matteo Renzi, del re di Spagna, Filippo IV, di Martin Schultz, di Jean Claude Junker, di Donald Tusk e di Mario Draghi. Poi ha parlato di un’Europa, di una politica, di una economia totalmente sconosciute a quelle donne e a quegli uomini che con le loro scelte hanno sino ad ora fatto l’esatto contrario di quello che da loro si attende Papa Francesco. Lui parla di nuovo umanesimo europeo a leader che hanno accettato di essere prima travolti dalla crisi dei migranti e poi hanno nei fatti accettato l’edificazione di nuovi muri o accettato come il male minore avvilenti accordi dal punto di vista dei diritti dell’uomo come quello stipulato con la Turchia; ha parlato di economia sociale a leader che hanno contribuito a mettere in ginocchio un paese come la Grecia; ha parlato di dignità del lavoro a capi di governo che hanno varato voucher e mini-jobs.
Ancora una volta, Papa Francesco ha usato parole forti. Puntando il dito, facendoli anche commuovere, forse avvertendo l’inanità del suo sforzo. Ha fatto risuonare continuamente quel verbo quasi a sottolineare la distanza tra la misera realtà attuale e le ambizioni di un’idea che si è andata inaridendo nel tempo per l’incapacità dei leader a irrorarla con politiche coerenti e lungimiranti. E così ha spiegato: “Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre, sogno un’Europa che si prenda cura del bambino, che soccorra come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo, sogno un’Europa in cui essere migranti non sia un delitto bensì un invito a un maggior impegno, sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo, sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno senza dimenticare i doveri verso tutti, sogno un’Europa di cui non si possa mai dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia”.
Un discorso troppo alto per politici che negli ultimi anni si sono rivelati non adeguatamente all’altezza delle sfide che la realtà pone e che Francesco illustra con parole semplici e argomentazioni complesse. Perché l’Europa non è il bel “Sogno” del Papa, non è la grande patria che dovrebbe essere protagonista di “un nuovo umanesimo”, è anche (forse soprattutto) il rissoso condominio che si alimenta di egoismi e mette a disposizione degli ideologi delle piccole patrie come Salvini, Strache, Le Pen, Orbàn, Farage, Wilders, il combustibile per ampliare sempre di più il serbatoio dei consensi. E’ una costruzione in bilico tra un presente con poca speranza e un futuro che ripiega verso un pericoloso passato. E’ questa Europa che offre a Francesco l’occasione per una spietata analisi richiamando il discorso tenuto a al parlamento europeo: “Dissi agli eurodeputati che da diverse parti cresceva l’impressione generale di un’Europa stanca e invecchiata non fertile e vitale, dove i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva; un’Europa decaduta che sembra aver perso la sua capacità generatrice e creatrice; un’Europa tentata di volere assicurare e dominate spazi più che generare inclusione e trasformazione”. Insomma, l’Europa “nonna”
Contro questa situazione, il Papa punta il suo dito accusatore: “Cosa ti è successo, Europa umanistica paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Cosa ti è successo?” E racconta parlando dei “padri fondatori”: “Essi gettarono le fondamenta di un baluardo di pace, di un edificio costruito da stati che non si sono uniti per imposizione, ma per la libera scelta del bene comune, rinunciando a fronteggiarsi. L’Europa dopo tante divisioni ritrovò finalmente sé stessa e iniziò a edificare la sua casa. La rassegnazione e la stanchezza non appartengono all’anima dell’Europa e anche le difficoltà possono diventare promotrici potenti di unità.
Economia e crisi dei migranti: facce della stessa medaglia. Lo sottolinea Francesco, parlando di un nuovo modello. E lo spiega a chi ha partecipato a costruire il modello attuale provocando una diseguaglianza così profonda e immorale da non poter più essere governata. E le crisi migratorie sono dentro il problema come conseguenza e non come causa. Sollecita apertamente “la ricerca di nuovi modelli economici più inclusivi ed equi, non orientati al servizio di pochi, ma al bisogno della gente e della società”. La ricetta è chiara: “Passare da una economia che punta al reddito e al profitto in base alla speculazione e al prestito a interesse, a una economia sociale che investa sulle persone creando posti di lavoro e qualificazione”. La direzione di marcia al Papa sembra chiara: “Dobbiamo passare da una economia liquida, che tende a favorire la corruzione come mezzo per ottenere profitti, a una economia sociale che garantisce l’accesso alla terra, al tetto per mezzo del lavoro”. Non ha dubbi, Francesco: “Se vogliamo mirare a un futuro che sia dignitoso, se vogliamo un futuro di pace per la nostra società, potremo raggiungerlo solamente puntando sulla vera inclusione, quella che dà lavoro dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale”. Soprattutto bisogna darlo ai giovani perché “come possiamo farli partecipi di questa costruzione quando li priviamo del lavoro”.