-di SANDRO ROAZZI-
E’ innegabile che l’Europa attraversi uno dei periodi di maggior smarrimento della sua storia. Proprio per tale motivo è significativa la consegna dei leaders europei a Papa Francesco del premio Carlo Magno, quasi una richiesta al Papa gesuita argentino di protezione dalle nubi temporalesche che non danno tregua al vecchio Continente.
Ma può davvero essere d’aiuto la parola dell’attuale Papa a contenere i rischi di disunione e di eventuale disgregazione dell’Unione Europea? Papa Francesco ne sembra consapevole quando racconta ai Capi europei il suo sogno di un’Europa “ancora giovane, capace di essere ancora madre e nella quale essere migrante non sia delitto…”. Poche parole ma tre concetti fondamentali: Europa giovane, quindi in grado di ribaltare i rischi di declino, aperta ad un futuro multietnico, aperta come è la condizione giovanile a valori. Europa madre, che generi vita e non sia prigioniera solo della paura di perdere quello che ha accumulato. Europa accogliente dove appunto il migrare non sia considerato un delitto da espiare ma un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano”.
In questo senso c’è una forte continuità del messaggio dell’attuale Pontefice con coloro che l’hanno preceduto e che nasce dalla convinzione che seppur le origini del Cristianesimo non sono europee, la connotazione più evidente, anche sul piano culturale, del nostro Continente è segnata da radici cristiane e dalle relazioni che si sono intrecciate con l’umanesimo laico.
Già Pio XII dopo le macerie della seconda guerra mondiale giudicava “urgente” l’edificazione dell’unità europea, “difensiva” rispetto ai conflitti epocali del passato ma pur sempre un obiettivo per il futuro e non solo di pace. Giovanni XXIII parla per primo di “bene comune europeo” allargando l’orizzonte ad una migliore comprensione fra culture diverse in un’Europa divisa dalla guerra fredda. Paolo VI si spende sulla stessa linea con “l’Europa in cammino”, che va oltre la dimensione economica. Papa Wojtyla “abolisce” con la sua coraggiosa azione nei fatti la distinzione fra Europa occidentale ed Europa dell’Est, mentre il suo successore Papa Raztinger ammonisce i popoli europei a non incamminarsi verso il declino per paura di perdere quello che hanno.
E queste sottolineature si accompagnano ad un magistero di tutti costoro sul piano economico e sociale che ricolloca la dignità del lavoro al centro di un una nuova società da costruire. Da ultimo Papa Francesco ricolloca la missione della Chiesa in un percorso di rinnovata evangelizzazione nel quale gli ultimi diventano persone “speciali” e non derelitti da disfarsene. Non è difficile allora comprendere il perché l’Europa sulla soglia di una… crisi di nervi, mette da parte le distinzioni religiose e sceglie di fare di questo Papa un protagonista da premiare. Un patrono in carne ed ossa che sa mettere in guardia dagli egoismi miopi ma anche che può valorizzare le risorse positive esistenti in Europa. Umanizzandola oltre ogni considerazione di errata tutela dei propri interessi.
In questo senso, sia pure se il parallelo è ardito, Papa Francesco e il Presidente della Bce Draghi si assomigliano: entrambi assumono il ruolo scomodo di difensori dell’Europa dal peggior nemico che essa possa avere: se stessa.