Costituzione, Renzi “scopre” una nuova norma transitoria

-di ANTONIO MAGLIE-

Senza entrare nella polemica tra l’Italia che dice sì e quella che dice no e senza suscitare forme di cannibalismo travestendoci da gufi, sarebbe bello capire cosa intendeva dire a Firenze il presidente del Consiglio quando, a proposito di Costituzione, ha pronunciato questa frase: “A chi ci attacca accusandoci di tradire i principi stabiliti dai padri costituenti, rispondo che invece stiamo correggendo un punto su cui all’epoca le forze politiche non riuscirono a mettersi d’accordo e fecero una norma transitoria dicendo ‘cosi’ non va bene’. Il bicameralismo paritario non è quello che volevano coloro che scrissero la Costituzione”.

Tanto per cominciare, nella Carta che fu approvata alle 18,30 del 22 dicembre del 1947 chiunque, anche il più attento lettore, incontra qualche difficoltà a individuare la norma transitoria di cui parla il capo del governo. Le norme transitorie e finali come dovrebbe essere ampiamente noto, sono diciotto. La più famosa, anche perché la più ampiamente citata, è la dodicesima, quella che recita: “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista”. La prima è dedicata al capo provvisorio dello Stato (all’epoca Enrico De Nicola) che doveva esercitare “le attribuzioni del Presidente della Repubblica e ne assume il titolo”. La seconda riguardava l’elezione del Presidente e l’eventuale mancata costituzione dei consigli regionali. La terza faceva riferimento alla prima composizione del Senato. La quarta riconosceva il Molise come regione “a sé stante”. La quinta aveva come oggetto i trattati internazionali. La sesta affrontava il nodo delle giurisdizioni speciali. La settima disciplinava il periodo di assenza della Corte Costituzionale. L’ottava aveva come argomento le amministrazioni locali. La nona indicava il termine entro il quale lo Stato doveva adeguare la sua normativa alle esigenze delle autonomie locali. La decima era dedicata al Friuli Venezia-Giulia. La undicesima dava la possibilità, entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione di creare nuove regioni. Della dodicesima abbiamo detto. La tredicesima riguardava l’elettorato attivo dei membri di casa Savoia. La quattordicesima negava il riconoscimento ai titoli nobiliari. La quindicesima convertiva in legge il decreto luogotenenziale 151 del 25 giugno 1944. La sedicesima parlava della revisioni delle leggi costituzionali non ancora coordinate con la Carta. La diciassettesima prevedeva la riconvocazione dell’Assemblea Costituente per deliberare sulla legge elettorale del Senato. L’ultima attribuiva al Capo dello Stato il compito di promulgare la Costituzione approvata.

Domanda: dov’è la norma transitoria che a proposito del Senato dice “così non va bene”? Si deve evidentemente trattare di un refuso, di un terribile errore di stampa che ha contaminato tutte le Costituzioni in commercio che, evidentemente, mancano della diciannovesima disposizione transitoria e finale. Fortunatamente, il presidente del Consiglio ha scoperto la lacuna e ha provveduto a colmarla comunicando pubblicamente il contenuto della norma.

Su tutto si può discutere e su tutto è ammessa la propaganda politica, ma una cosa sono le parole che notoriamente volano, altra cosa sono gli scritti e quelli rimangono. Nell’Assemblea Costituente si discusse molto e si mediò molto. E’ evidente che ci fu un dibattito sul parlamento, sul monocameralismo e sul bicameralismo. Ed è vero: esisteva una certa diffidenza verso il Senato ma non per i motivi che indica Renzi bensì perché ricordava il passato, cioè una istituzione di nomina regia, non elettiva che non poteva essere additata come un puro esempio di democrazia. Per il presidente del Consiglio il problema è un altro: la necessità (dice lui) dei maggiori costi; la necessità (dice sempre lui) di una riduzione dei tempi delle decisioni (questione risolvibile anche in altra maniera, ad esempio tagliando drasticamente il numero dei deputati visto che i tempi di discussione dei provvedimenti a palazzo Madama sono piuttosto celeri). Ma le preoccupazioni per i Costituenti non erano quelle dell’attuale presidente del Consiglio. E l’adozione della forma istituzionale che è giunta sino a noi venne accompagnata dai dissensi di chi avrebbe voluto un’altra soluzione ma non da una riserva di merito.

Ma c’è un altro aspetto che vale la pena sottolineare nel momento in cui Renzi ha aperto la sua campagna referendaria. Perché anche su questo terreno, il presidente del Consiglio mostra di avere una lacunosa conoscenza della Costituzione, in particolare dell’articolo 138, quello che gli ha consentito di mettere mano alla Carta.

Dice: “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.

Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”.

Anche in questo caso, qualcosa sfugge. Non sembra esserci un comma che attribuisca al capo del governo il compito di promuovere il referendum. E, come sottolineano tutti i costituzionalisti, questa facoltà non è prevista perché la consultazione popolare se sollecitata dal premier finirebbe per assumere altra forma, quella del plebiscito. Al di là delle opinioni che possono essere favorevoli o contrarie alle novità introdotte con l’attuale processo di revisione, sarebbe auspicabile che chi ha giurato sulla costituzione attuale, nel momento in cui ne propone una nuova, mantenesse un profilo istituzionale in linea con norme in vigore. E quelle sono chiarissime: non contengono “riserve” sul bicameralismo e non attribuiscono al capo del governo il compito di proporre il referendum. Il resto sono chiacchiere.

antoniomaglie

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