Primo Maggio, festeggiando con rabbia

-di SALVATORE BONADONNA-

Dal 1990 a Roma, la festa del lavoro è il grande concerto di Piazza San Giovanni promosso dai sindacati e dal comune di Roma, sostenuto dalla Rai, che lo trasmette in diretta, nonché da alcuni sponsor che, in verità, con il sostegno al lavoro e ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori hanno poco a che fare, anzi. Per fortuna ogni tanto qualche artista allude direttamente o indirettamente a situazioni drammatiche di lavoro e fa sentire la sua critica al governo e ai padroni; e questo, paradossalmente, crea imbarazzo e suscita polemiche. In altre città ancora si organizzano manifestazioni, cortei, festose scampagnate di amici, lavoratrici e lavoratori, talvolta promosse dalle organizzazioni sindacali, talaltra da Comitati di Base e Centri Sociali. Da alcuni anni a Milano il Centro Sociale SOS Fornace organizza il May Day, la marcia di quelle lavoratrici e di quei lavoratori senza lavoro, senza diritti, senza stabilità e prospettive che hanno assunto a proprio simbolo San Precario. L’anno scorso hanno avuto l’ardire di denunciare il lavoro gratuito elargito da EXPO. E’ bastata l’azione sconsiderata di alcuni violenti anonimi a scatenare una reazione prima della polizia e poi del perbenismo benpensante per fare derubricare la loro rabbia e la loro denuncia a banale questione di ordine pubblico. Si trattava di salvaguardare l’EXPO e l’immagine della città efficiente e pacificata, non i diritti di ragazze e ragazze indotte a forme di lavoro neoschiavistico!Scrissero i promotori del corteo: “Al settimo anno di crisi, l’orgoglio precario si è tramutato in rabbia e indignazione per la disoccupazione dilagante e l’immiserimento crescente che le politiche di austerità, dettate da BCE, Fmi e tutta l’eurocrazia, hanno imposto alla maggioranza della popolazione, particolarmente in Italia, Grecia e nel resto dell’Europa Latina. Massacro sociale, saccheggio di ricchezza e beni comuni, fine della città pubblica, sono i tratti comuni delle soluzioni imposte per rispondere alla crisi.”

Parole dure e di verità che risuonano in questi giorni per le strade di Parigi e delle città della Francia dove lavoratrici e lavoratori, giovani e disoccupati, respingono la versione francese di quel Jobs-act che nel nostro paese è passato nel silenzio assordante del sindacalismo confederale, rotto solo dalla voce della FIOM, e che solo adesso comincia a pensare di organizzare un movimento e un referendum per la sua abrogazione.

Primo Maggio ormai tradito dunque? In un certo senso. Certamente ritualizzato ed istituzionalizzato, come certe feste del calendario cattolico che fa piacere festeggiare perché ricordano le tradizioni di famiglia anche a quanti non praticano la religione.

Del resto, se il presidente del Consiglio afferma che per i lavoratori ha fatto più Marchionne che i sindacati, e questa affermazione non incontra la risposta indignata dei sindacati, è segno che il veleno dell’ideologia neoliberista e individualista circola abbondantemente nelle arterie mitridatizzate della società fino al punto di far considerare il lavoro tutelato un privilegio inaccettabile che i disoccupati e i precari debbono abbattere per conquistare qualche opportunità di lavoro. E’ “il sovversivismo delle classi dirigenti” di cui aveva scritto lucidamente Antonio Gramsci.

Tutto questo dovrebbe indurre il sindacalismo a ripensare i decenni trascorsi a crogiolarsi nella propria rappresentanza istituzionale mentre declinava la propria rappresentatività sociale; e tanti dirigenti sindacali a considerare che il proprio status di ceto politico non ha riferimento alcuno alla condizione di chi si dice di volere rappresentare.

Sarebbe davvero cosa buona e giusta se nei loro discorsi di questo Primo Maggio i dirigenti sindacali partissero da un atto di onestà e leale autocritica e lanciassero a sé stessi e alle proprie organizzazioni la sfida di ricostruire la rappresenta sociale democratica e di riconquistare quell’autonomia “dai padroni, dai governi e dai partiti” che Giuseppe Di Vittorio definiva “indipendenza”.

So bene che non sono più i tempi della Seconda Internazionale che proclamava la giornata del Primo Maggio Festa Internazionale del Lavoro. Il movimento operaio mondiale che si ritrovava in quell’assist e che ha segnato la storia sociale del ‘900, che ha subito due guerre mondiali e le dittature ed è stato, tuttavia, l’artefice del più alto compromesso sociale nell’Europa, capace di conquiste storiche per il lavoro e per la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori, oggi è disorientato e disperso; le sue conquiste cancellate in nome della competitività e del mercato adesso che il capitalismo, nella sua strutturazione finanziaria internazionale, ritiene di potere realizzare fino in fondo la sua vocazione totalitaria.
Warren Buffet, pare sia l’uomo più ricco d’America, ha affermato, contrariamente a quella sociologia d’accatto che ha corrotto le formazioni politiche eredi di quel movimento operaio, che “la lotta di classe è più viva che mai e che, adesso, stiamo vincendo noi”.

Basterebbe riflettere su questa affermazione per trarne l’indicazione di ricominciare da dove aveva iniziato la Prima Internazionale del Lavoro, dalle leghe di categoria, dalle Camere del Lavoro, dalle Società di Mutuo Soccorso, dalle Casse di Solidarietà, dalle lavoratrici e dai lavoratori in carne ed ossa. E fare rinascere l’alternativa possibile e necessaria dalla resistenza agli attacchi odierni ai diritti, dalle lotte per il lavoro delle giovani generazioni, dallo spirito di solidarietà e cooperazione che si esprime contro la competitività che cancella le persone e le riduce ad individui, l’uno contro l’altro, nelle fabbriche, nelle officine, nei laboratori come negli studi professionali, nei supermercati come nei call-center, merce usa e getta acquistata con i voucher di cui vanno fieri il governo Renzi e il suo ministro del lavoro in coerenza con la svalorizzazione del lavoro di cui l’Unione Europea e la BCE si fanno protagonisti.

Adesso che persino le otto ore di lavoro, rivendicazione originaria delle lotte che portarono alla proclamazione della Festa del Lavoro, tornano ad essere concretamente messe in discussione dalla logica dell’accumulazione del capitale, riprendere il cammino della conquista e della liberazione del lavoro dovrebbe rappresentare il nuovo inizio del movimento che, nell’era della globalizzazione e di Internet, cambia lo stato delle cose presenti.

“Questo giorno è tutti i giorni tutto l’anno vi è racchiuso
primo maggio tu ritorni a dar forza a chi è deluso.
Questa festa è una gran festa non ce l’hanno regalata
su leviamo alta la testa noi l’abbiamo conquistata.

Un giorno per chi vive nel lavoro
un giorno per chi spera nel futuro
un giorno per chi lotta con coraggio
è il nostro giorno è il primo maggio”
(Giorgio Gaber, 1965)

Con lo stesso spirito, buon Primo Maggio!

 

 

 

 

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