–di SANDRO ROAZZI-
Bisogna risalire agli inizi degli anni ’80 per trovare un aumento così basso delle retribuzioni orarie, secondo l’Istat esattamente al 1982. La spiegazione viene non solo dai contratti da rinnovare, o da quelli del pubblico impiego fermi da tempo immemorabile, ma anche dalle modalità degli aumenti, diluiti nell’arco degli anni interessati ai contratti e con cifre generalmente modeste. I consumi non brindano, il logorio del contratto nazionale si accentua. A marzo la crescita è nulla sul mese precedente, quindi perfino inferiore al modestissimo +0,2% dell’inflazione, mentre sul marzo 2015 si sale allo 0,8%, tutto o quasi dovuto al settore privato. Se teniamo conto che i sindacati calcolano che le risorse messe a disposizione dei contratti dei quasi 3 milioni di lavoratori pubblici toccano i…5 euro mensili, non siamo lontani dal vero nel sostenere che una svolta retributiva è parecchio lontana. Completa lo scenario l’attesa media per il rinnovo dei contratti che oltrepassa i 23 mesi, ovvero il tempo più lungo dal 2005, inizio delle serie storiche su questo versante. Bisogna anche dire che però la fotografia delle retribuzioni orarie è inevitabilmente parziale rispetto alle dinamiche reali che soprattutto a livello aziendale presentano altre voci ed altre consuetudini, senza parlare del welfare aziendale.
Eppure…La moderazione salariale fu virtù necessaria per scongiurare il tracollo dell’economia nei travagliati primi anni ’90. Fu anzi un atto di forte responsabilità delle confederazioni sindacali nei confronti dell’intero Paese. Ma con l’avvento del terzo millennio la prosecuzione di questa linea assume via via un significato diverso, ovvero la difesa del valore del contratto nazionale nei riguardi dei sempre più frequenti attacchi (e dubbi) a questo istituto a favore del livello aziendale. Viceversa, ci dicono gli esperti, si sviluppa una ricostituzione dei margini dei profitti che in parte darà usata dalle imprese per reggere alla lunga recessione, in parte per… esplorazioni di tipo finanziario,poco o nulla per investimenti stante anche le incertezze sul futuro. Ora si tocca il fondo. Non è un bene per la domanda interna ma neppure per le relazioni industriali in quanto rischia di irrigidire le posizioni delle controparti, imprenditoriali e sindacali.
Acquista maggior valore allora l’impronta che il nuovo vertice di Confindustria vorrà dare alle relazioni sindacali. Inevitabilmente cresce la propensione governativa a…mettere lo zampino nella attuale struttura contrattuale, mentre Cgil, Cisl e Uil si trovano di fronte alla prospettiva di dover ridisegnare il loro ruolo di autorità salariale che è uno dei punti di forza ancora del legame con i lavoratori. E’ auspicabile che si apra un cantiere “salario”, non per appesantire i bilanci delle imprese, ma per ricreare le condizioni per una dinamica retributiva meno mortificante e più utile anche alla crescita dell’economia. Basse retribuzioni, voucher a gogò, blocco contrattuale di un settore intero come il pubblico impiego, pensioni al palo: inutile chiedersi perchè il mercato interno soffre così tanto. Senza contare che prima o poi dietro l’angolo potrebbe accumularsi una potenziale protesta salariale dagli sbocchi imprevedibili.