Scuola, non basta un concorsone

-di VALENTINA BOMBARDIERI-

La storia comincia due anni fa. Renzi presenta il manifesto della buona scuola. Si promettevano 150 mila posti per gli iscritti alle Graduatorie ad Esaurimento (GaE), in realtà i posti banditi sono stati meno della metà. Ma si sa, Renzi è bravo nel marketing, arte in cui la verità non sempre è ammessa.

Si comincia, tra contraddizioni e ritardi, oggi, giovedì 28 aprile: la “roulette russa” della Buona Scuola andrà avanti sino a martedì 31 maggio. 63.712 mila cattedre in tutta Italia (24.232 di infanzia e primaria, 33.379 di scuola secondaria di I e II grado e 6.101 per il sostegno). Per alcuni sarà una passeggiata, per altri una fatica di Ercole. Dopo che il Ministero ci ha messo sei mesi a pubblicare il bando, a conti fatti fino al 2017 serviranno ancora supplenti. In alcuni casi le cattedre sono meno dei candidati. L’esempio limite è quello del sostegno in Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Veneto e Liguria, dove gli iscritti non basteranno a coprire i posti disponibili e ne andranno persi 523, per cui anche l’anno prossimo bisognerà ricorrere a supplenti. Tuttavia il Ministero ha voluto ribadire il principio che nella scuola pubblica si viene assunti solo per concorso. Tuttavia i numeri avrebbero permesso in molte situazioni di evitare una procedura selettiva lunga e complessa (e costosa).

Per quanto riguarda le materie umanistiche alle medie e alle superiori, in tutta Italia ci sono circa 10mila iscritti per 8mila posti, la scrematura sarà minima. Lo stesso vale per il nuovo insegnamento di italiano per stranieri, con sette Regioni con più posti che candidati. Per matematica e scienze ci sono 4.529 iscritti per 4.056 cattedre.

In altre materie la competizione sarà molto dura, quasi una lotteria: soprattutto per la scuola primaria e la scuola dell’ infanzia, che contano circa i due terzi delle 165mila domande pervenute (97mila, per meno di 25mila cattedre).

Ci sono Regioni (quelle meridionali in particolare) molto più affollate di altre. Era così difficile per il Ministero prevedere una graduatoria a scorrimento nazionale, in modo tale da sanare le discrepanze territoriali più marcate? Oppure bandire il concorso soltanto nelle materie per le quali era davvero necessario?

E mentre sui social partono le lamentele di chi al concorsone ha partecipato, la ministra Stefania Giannini dichiara che la lotteria “sta andando speditamente e credo che sia una grande prova di civiltà che un Paese restituisca ai sensi della Costituzione la possibilità di fare un mestiere delicato, importante e straordinario attraverso una selezione pubblica che deve verificare quanto si è adatti a farlo”.

Ma forse dovrebbe spiegare anche che tipo di formazione possono dare questi professori, che ormai di mestiere fanno gli equilibristi, ai nostri ragazzi?

Forse la riflessione sulla scuola dovrebbe essere diversa, più profonda. Assistiamo alla distruzione pianificata del liceo e dell’università, tramite quelle riforme interscambiabili di governi di destra e di sinistra che, cercando di superare i gravissimi limiti della riforma Gentile del 1923, hanno finito per dare al sistema i caratteri del caos, tra presidenti del consiglio che pensavano che bastasse internet e l’inglese per renderla più adeguata alle necessità, altri che hanno teorizzato il collegamento con le aziende (ma solo a parole), altri ancora che si sono accontentati di qualche sistematina organizzativa e burocratica. Alla fine l’unica riforma organica è stata quella degli anni Sessanta, quella che gettò le basi della nuova media, uno dei lasciti del vecchio centro-sinistra e dell’impegno dei socialisti.

Anche un bambino si può accorgere di come i continui tagli dei finanziamenti destinati alla scuola (pubblica perché, in barba alla Costituzione, lo Stato appare sempre molto generoso nei confronti della privata che, al contrario, non dovrebbe gravare sul suo bilancio) rispondono essi stessi a un programma politico opportunamente mascherato dietro le cosiddette compatibilità finanziarie.

Per parlare di scuola è forse il caso di parlare con chi la scuola la fa. Perché altrimenti diventa difficile capire cosa dobbiamo alla scuola. Dobbiamo moltissimo ai livelli di base, alle scuole dell’infanzia ed elementari, assai meno, purtroppo, alle scuole medie superiori. Ma Renzi sembra avere della scuola l’immagine di un blocco unitario. Finendo così per ignorare meriti e limiti.

Nei primi decenni della prima repubblica quasi due terzi degli ultra-quattordicenni, il 60 per cento, erano privi di licenza elementare, un terzo dei quali analfabeti confessi (per l’Istat si era ed è analfabeti se tali ci si dichiarava). Nelle classi giovani in età scolastica, per ragazzine e ragazzini, il titolo di licenza elementare (non il diploma, non la laurea) era riservato a un’élite, un terzo.

La scuola sulla quale si mette mano è la sola istituzione che ha aiutato la società italiana a evadere dalla prigione dell’analfabetismo primario, totale, e a conquistare almeno l’alfabetizzazione strumentale .

Una scuola libera entro i paletti che la Costituzione ha fissato. Un insegnamento, invece, che è e deve essere libero, come recita l’articolo 33 della Costituzione. La costituzione ci ricorda anche che la scuola è “aperta a tutti” e “obbligatoria per almeno otto anni” ed è l’unico luogo istituzionale in cui per forza devono ritrovarsi, almeno nei loro anni giovanili, “tutti i cittadini (…) senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (articolo 3, comma primo). È qui, nella scuola, che la Repubblica può adempiere al suo “compito”: “Rimuovere gli ostacoli (…) che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione (…) all’organizzazione politica, economica e sociale del paese” (articolo 3, comma secondo).

E se per Piero Calamandrei la scuola era un organo costituzionale, chi attualmente ci governa sembra essere molto ma molto lontano da questa idea.

Valentina Bombardieri

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