-di ANTONIO MAGLIE-
Come volevasi dimostrare, le accuse generiche di Piercamillo Davigo hanno ricevuto la risposta liquidatoria di Matteo Renzi. E se per il primo i politici son tutti ladri, per i secondo il problema (la questione morale) sembra non esistere. E’ evidente: hanno torto tutti e due. I politici non sono tutti ladri: c’è chi si dedica a questa attività con passione, onestà e trasparenza e chi la usa come un bancomat, come un autobus per farsi trasportare verso mete ambiziose, come l’occasione per lucrare utili (economici e sociali) e privilegi. Ma non è che nel mondo della magistratura in questi anni non sia stata scoperta qualche “pecora nera” né sono pochi gli esempi di professionisti del diritto che si sono trasformati in professionisti della politica usando la toga per finalità diverse da quelle strettamente istituzionali. Con orgoglio, Renzi dichiara “chiuso” il tempo della subalternità dimenticando, però, l’uso strumentale che alcune forze politiche fecero di “Tangentopoli” dando sostanza alla convinzione che un sistema democratico potesse essere validamente governato da un un “partito dei giudici”. Nacquero allora gli “ideologi” del giustizialismo, ancora presenti in alcune di quelle forze politiche che trovano ospitalità in Parlamento e che producono gli stessi danni di chi ritiene la “questione morale” ormai risolta.
Partiti ai quali, nel giorno in cui l’Italia festeggia la Liberazione, Renzi riconosce indistintamente la sincera adesione ai principi sanciti nella Costituzione. Forse una analisi più attenta sarebbe opportuna. Bobbio sosteneva che l’attuale Costituzione, quella che il presidente del consiglio vuole cambiare, nacque dalla guerra partigiana, dalla Resistenza: senza la seconda non ci sarebbe stata la prima; senza la seconda probabilmente non ci sarebbe stata nemmeno la Repubblica, istituzione per la quale si batté con grande vigore il ministro della Costituente, Pietro Nenni, considerandola la premessa su cui costruire la Nuova Italia. Matteo Salvini sarà sicuramente un campione di democrazia ma vale la pena ricordare che il suo partito, la Lega Nord, sino all’altro ieri proponeva la secessione e a leggere la Carta non si ha l’impressione che i Costituenti avessero in mente una nazione sezionata come uno spezzatino. Giorgia Meloni è un candidato alla poltrona di sindaco rispettabilissimo ma viene da una storia politica che porta nel suo Dna le nostalgie ataviche di un partito che non solo non era ancora presente nell’Assemblea Costituente ma si ispirava ad altre esperienze che avevano caratterizzato l’Italia nel periodo della Guerra di Liberazione (Msi aveva una certa assonanza con Rsi) e non a caso storici come Claudio Pavone hanno parlato di un conflitto che ne conteneva tre e uno dei tre era quello civile. Per anni il mondo politico italiano ha fatto l’esame di democrazia ai comunisti che pure nella lotta per la liberazione avevano versato copiosi quantitativi di sangue e poi avevano messo il bollo alla nuova Costituzione attraverso il presidente dell’Assemblea, Umberto Terracini. Gli esami non sono eleganti ma sarebbero auspicabili gesti che, a settantuno anni di distanza, dissipassero tutti i dubbi, anche in chi, forse maliziosamente, continua a coltivarli.
Per quanto riguarda la “questione morale”, poi, sarebbe utile che ognuno tornasse ad arare il proprio orto. Quello dei magistrati è nelle aule di tribunale, luoghi in cui si accertano fondatezza e gravità dei reati, non cattedre dall’alto delle quali si definiscono modelli etici. Quello dei politici sono, invece, le aule parlamentari e gli uffici di governo, luoghi in cui, maneggiando l’interesse collettivo, non si può proprio fare a meno di misurarsi con una valutazione morale dei comportamenti. Uno dei limiti (peraltro esiziale) di Tangentopoli fu l’aver confuso i piani del diritto e dell’etica. Ma la morale pubblica (soprattutto nell’uso di risorse collettive) non può essere un programma di partito; al contrario, deve essere la pre-condizione per fare politica e come tale deve riguardare tutti, centro, destra e sinistra. Ci sono comportamenti perfettamente legali che, però, non sono compatibili con la funzione pubblica. Ecco perché Renzi non deve preoccuparsi tanto dei giudici, quanto di ciò che gli gravita attorno; e se tutti i cittadini devono rispettare il codice penale, i cittadini che vengono eletti a una carica rappresentativa devono rispettare, in sovrappiù anche un codice “civico” le cui norme non trovano applicazione in un’aula di tribunale ma, partendo dalle cabine elettorali, nella società nel suo complesso.
L’assenteismo è il segnale di un malessere profondo, di un livello piuttosto basso di fiducia nelle istituzioni, di opacità della cosa pubblica. Questioni che non si risolvono con le inquisizioni più o meno sante ma con un processo di maturazione culturale, in primo luogo della classe politica italiana che non è mai stata priva di difetti. Sbaglia Renzi a sottovalutare le infiltrazioni criminali nella pubblica amministrazione, i condizionamenti del voto di scambio, la pervasività delle mafie organizzate, la situazione di sbando sociale in cui versa il Sud e che finisce per alimentare comportamenti criminogeni. Sbaglia a non prendere atto che nella classifica della pubblica onestà siamo al sessantunesimo posto nel mondo, penultimi in Europa, un po’ prima della Bulgaria e dopo tutti gli altri. E’ evidente che la democrazia ha dei costi ma allora bisogna trovare regole che li rendano chiari e pubblicamente controllabili. Soprattutto bisogna costruire solidi argini per evitare che questi costi si trasformino in occasioni di arricchimento personale, diretto o indiretto che sia. In tutti i parlamenti del mondo agiscono le lobbies ma forse è venuto il momento di dotarci di una solida legge per contrastarne abusi e inquinamenti. Ecco perché la politica nel suo complesso, più che su Davigo, dovrebbe riflettere su sé stessa e sul contributo risolutivo e razionale che ai problemi può dare rifuggendo dalla imperitura cultura delle Crociate che sembra animare il nuovo presidente dell’Anm.