-di SANDRO ROAZZI-
Un prete, un banchiere, un dantista, tre figure di spessore nella Resistenza al nazifascismo oggi dimenticate. Allora potremmo collocarle in quelle seconde file dell’opposizione antifascista, imparagonabili però alle prime della attuale politica.
Il prete è Mons. Pietro Barbieri. Torna dagli Stati Uniti dove era stato cappellano degli emigranti italiani. A via Cernaia, casa dei Padri Maristi, installa una tipografia clandestina dove come un provetto falsario realizza documenti contraffatti per antifascisti ed ebrei. Sarà lì, a via Cernaia dove è ricordato da un targa, che questo prete, poi soprannominato non a caso come il primo cappellano di Montecitorio, accolse politici come Nenni, Togliatti (assiduo, dicono), La Malfa, Saragat, Gronchi De Gasperi, Ruini per proteggerli e discutere del dopo Badoglio. Fondamentale poi nel tessere i rapporti con il comando alleato per far passare, con successo, il nome di un socialista come Bonomi a capo del Governo, lui prete cattolico. Uno dei precursori, dunque, di quel dialogo fra cattolici e laici che spianò la strada alla Costituzione repubblicana.
Il banchiere. Nome sparito quello di Alfredo Pizzoni, figlio di un Generale, combattente fra i bersaglieri nella prima guerra mondiale, oxfordiano, banchiere ma soprattutto primo Presidente del Comitato nazionale di liberazione dell’Alta Italia. Trattò lui con gli Alleati il riconoscimento del Cnlai con il prezioso viatico di 160 milioni di lire al mese, senza i quali i partigiani avrebbero dovuto procurarsi con altri mezzi i soldi necessari alla lotta. Nel 1945 lo sostituì il socialista Morandi. Ebbe il più alto riconoscimento dato dal Congresso Usa, ma la politica dei partiti (allora c’erano) lo accantonò sia pure con rispetto.
Il dantista era quel Quinto Tosatti, un passato giovanile all’Avanti!, cattolico che animò la corrente democristiana favorevole alla Repubblica tanto da alzare la voce, lui mite di natura, con De Gasperi ancora titubante: “ma caro De Gasperi lei veramente soffoca in modo imperioso e totalitario la libera espressione dei democratici cristiani di Roma”. Ed il buon De Gasperi lasciò la riunione senza una parola. Dopo la guerra, Tosatti, incarcerato a Regina Coeli per il suo antifascismo durante l’occupazione tedesca di Roma, riceveva a pranzo a giorni alterni due figure assai distanti fra di loro. Il primo era forse colui che lo aveva denunciato, una spia dell’Ovra (come si dedusse dagli elenchi pubblicati a Piazza Colonna), che si chiamava Tavolato. Figura singolare di futurista che scrisse un Elogio della prostituzione, dopo la guerra rimase spiantato ma Tosatti lo accolse alla sua tavola. Qualche giorno dopo era il turno di una vedova di un perseguitato del fascismo, sarto di Mussolini in Svizzera, poi caduto in disgrazia e reso cieco dalla violenza fascista.
Coraggio, tolleranza, abnegazione al di là degli interessi personali, ci vuole anche questo per riconquistare la libertà da una dittatura. Rievocare queste figure pur minori, vuol dire allora rammentare anche che è sbagliato, come avvenne negli anni ’90 celebrare il 25 aprile come una festa di generica libertà. Quella data è storia, una storia precisa, segnata dal sacrificio, dalla intelligenza e da una indomabile speranza verso un alba di democrazia.