-di ANTONIO MAGLIE-
La potente cancelliera tedesca, Angela Merkel, di fronte alle scelte di Mario Draghi, che non è propriamente un emulo di Karl Marx né un erede di Vladimir Ilic Uljanov Lenin, si è riscoperta “cittadina europea” in qualche misura vessata: “La Bce è indipendente nelle sue decisioni di politica monetaria, ma è legittimo per i tedeschi discutere del basso livello dei tassi di interesse”. Per la signora deve essere stato un terribile risveglio: si era appisolata la sera prima convinta di essere la leader indiscussa dell’Unione e si è destata ormai retrocessa al rango di un Alexis Tsipras qualsiasi. Se i cavalli non si uccidono in un modo così crudele, nemmeno le inamidate signore germaniche dai colori pastello meritano un trattamento così lontano delle regole di Monsignor Della Casa.
Diciamolo con chiarezza: in Europa qualcosa si muove e in qualche misura conforta un po’ i nostri cuori. Sembra essere in atto un timido ripensamento di cui la Signora e il suo alleato-concorrente, il perennemente accigliato Wolfgang Schaeuble, finiscono per essere le vittime. Ovviamente hanno spalle larghe e muscoli solidi come si conviene alla Grande Germania. E ai loro occhi, abituati a valutare gli interessi collettivi con il metro in uso a Berlino, deve apparire decisamente eversiva l’idea che ci possa essere un pensiero, per quanto esposto in maniera educata e sottovoce, comunque diverso. È sorprendente che la leader e il ministro tutto d’un pezzo che hanno normalmente e sistematicamente fatto a meno in questi anni di prendere in esame le obiezioni altrui, ponendo ultimatum in alcuni casi umilianti, oggi si sentano vittime di scelte che di anti-tedesco hanno veramente poco e, comunque, molto meno di altre scelte che hanno avuto gusti anti-greci, anti-italiani, anti-portoghesi, anti-spagnoli, insomma anti-mediterranei. Diciamolo con franchezza: le sofferenze esistenziali dei ricchi e potenti prodotte dagli scricchiolii di convinzioni che si ritenevano più inscalfibili del granito, non è che ci lascino affranti, anzi.
D’altro canto, il povero (si fa per dire) Mario Draghi per tutta la settimana era stato messo dai tedeschi in una sorta di centrifuga, prima accusato da Schaeuble di aver fatto il gioco dell’ultradestra tedesca alle ultime elezioni amministrative attraverso una politica “dei bassi tassi che stanno danneggiando le banche, l’industria finanziaria e i risparmiatori tedeschi”. Un attacco freddo e proditorio solo parzialmente attutito qualche giorno dopo: “Sono fiero dell’indipendenza della Banca Centrale Europea”. Poi, sempre con la testa nella centrifuga (e si sa: i prodotti tedeschi sono fatti d’acciaio robusto, durano a lungo e sono tecnologicamente avanzatissimi salvo poi svelare qualche piccola magagna a livello di software anti-emissioni), Draghi è stato preso a sganassoni dalla signora non propriamente iscritta al circolo del sesso debole. A quel punto, facendo onore al suo cognome, ha aperto la bocca e lanciato lingue di fuoco: “Lavoriamo per mantenere la stabilità dell’Eurozona, non di Berlino. Noi obbediamo alla legge non ai politici”.
E’ evidente che siamo nel campo della strumentalità e che probabilmente queste polemiche hanno, insieme a un obiettivo esterno, anche uno interno che riguarda la leadership futura del centro-destra non essendo più la Merkel indiscussa e indiscutibile. Ma fa un po’ sorridere l’idea che l’ultradestra tedesca sia stata agevolata da Draghi quando le scelte economiche imposte a tutta Europa dalla Germania hanno devastato il rapporto tra l’Unione e i suoi cittadini, compresso sino ai minimi termini il gradimento verso l’Istituzione, fatto saltare qualsiasi principio di solidarietà fra le nazioni e i governi, paralizzato l’iniziativa di Bruxelles di fatto asservita a Berlino. Sui migranti, al di là delle colpe, che ci sono, di Italia e Grecia, la Germania ha deciso che era tempo di agire solo quando si è sentita minacciata e ha fatto quello che probabilmente non avrebbe dovuto fare: correre a negoziare direttamente (seppur a nome della Ue) un accordo nel gran bazar di Ankara, facendo a piccoli pezzi la carta dei diritti dell’uomo. I costi della mediazione sono stati ovviamente divisi tra i partner con la conseguenza che ancora oggi Grecia e Italia sono sole davanti al problema dovendosi confrontare con una frontiera liquida (e molto meno controllabile) chiamata Mediterraneo (solo il marinaretto Matteo Salvini, dall’alto delle sue profonde conoscenze strategiche, sembra essere convinto di poter risolvere tutto con qualche cannonata ben assestata).
Un politico di qualche decennio fa sosteneva che la Germania era troppo piccola per comandare e troppo grande per obbedire. L’Unione Europea sembra aver convinto Berlino, dopo la riunificazione, che dal punto di vista della grandezza il gap sia stato ormai colmato e che adesso l’unica alternativa possibile è quella che prevede l’esercizio del comando. Del suo comando. E’ una tentazione spesso accarezzata da quelle parti in virtù di una presunta superiorità morale teutonica. Le conseguenze, come è noto, non sono state sempre confortanti per i vicini di casa. Ma tant’è.
In questi anni, Berlino, al di là di quel che dicono Merkel, Schaeuble e concittadini, non hanno fatto i donatori di sangue a vantaggio del progetto europeo, anzi si sono mossi seguendo una spinta “ideale” caratterizzata da un tangibile egoismo: hanno invocato regole rigorose però si son messi a posto le proprie banche con i soldi statali (e ora si scoprono che molte trafficavano con una certa continuità con Panama); hanno chiesto rigore e rispetto dei sacri principi europei di stampo liberista ma nel frattempo non si preoccupavano di far lievitare il loro avanzo commerciale a discapito degli interessi altrui (senza che Bruxelles battesse ciglio).
Insomma, si sono auto-convinti che ciò che andava bene a Berlino dovesse per forza di cose andare bene anche a tutti gli altri. Il fatto è nessuno tra gli altri ha avuto la voglia, la forza e il coraggio di spiegare che le cose non stavano esattamente così. Adesso che l’uscita dalla crisi è difficoltosa per molti (e non solo per l’Italia), che la rigidità tedesca ha prodotto situazioni magmatiche in numerosi paesi (ora la Spagna, prima la Grecia), si comincia, tra mille prudenze, a prendere atto che non è detto che ciò che va bene a Berlino debba andare bene anche a Lisbona o Helsinky. E prendere coscienza di questa non automatica identificazione potrebbe essere il primo passo per provare a battere i populismi di destra e a ricostruire su basi meno egoistiche un’Europa che al momento è solo un coacervo di pessimi umori e non un armonioso incontro di culture e idealità.