-di Sandro Roazzi-
Dopo otto anni, in modo unitario i metalmeccanici di Fiom, Fim e Uilm sono tornati in piazza per il contratto. Fischietti, cartelli, megafoni, scritte colorate come quella che recitava “chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso”, come a voler catturare le grandi atmosfere del passato e riproporle con la forza di sempre. Per i dirigenti sindacali lo sciopero di 4 ore è stato un successo, con adesioni alte “dal 70% di astensioni in su”. La richiesta è stata chiara: Federmeccanica torni subito al tavolo ma senza quelle proposte che cancellerebbero il contratto nazionale. E ce n’è anche per il Governo colpevole di dare molto alle imprese mentre attende il momento giusto per scendere in campo con un provvedimento di legge che cambierebbe volto alla contrattazione.
Tutto secondo i canoni della tradizione contrattuale italiana, dunque? Non è proprio così. Intanto manca in questo scontro contrattuale un pezzo “pregiato” come era la Fiat, oggi Fca, che nel bene come nel male risultava decisiva – contando per giunta un tempo le altre grandi imprese pubbliche del settore in grado di giocare un proprio ruolo – nella partita dei rinnovi. Oggi quasi tutti i dipendenti Fca possono contare già per il 2016 senza un’ora di sciopero su un aumento che va oltre le medie contrattuali fin qui conseguite. Perfino i cassintegrati hanno ricevuto qualche centinaio di euro. Fino a ieri, in definitiva il tavolo Federmeccanica doveva fare i conti anche con il colosso dell’auto e con quello che rappresentava nella politica del Paese ed alla fine, magari al Ministero del lavoro o a Palazzo Chigi, una soluzione si trovava. Ora non più. La politica non è in grado di schierarsi e se lo facesse le direzioni sarebbero molteplici e probabilmente poco efficaci.
Certo l’aver dimostrato che c’è unità fra i gruppi dirigenti dei metalmeccanici e la loro base non sarà ininfluente, tutt’altro. Costituirà un punto di forza che la controparte non potrà sottovalutare. E di solito, nel passato, dopo una riuscita prova di forza le ragioni per trattare crescevano. Difficile però fare previsioni ora quando in definitiva in gioco c’è il destino del contratto nazionale. La proposta della Federmeccanica imperniata sulla definizione di un salario minimo di garanzia (che toccherebbe ad una minoranza di lavoratori, replicano i sindacati, lasciando gli altri a bocca asciutta) non tiene conto solo di tempi ad inflazione zero, ma anche della volontà di spostare decisamente il baricentro salariale in azienda con almeno due titoli fondamentali: produttività e welfare. I sindacati resistono a questa impostazione perché in essa c’è il rischio di ridimensionamento del loro ruolo di protagonista delle dinamiche salariali, un potere da non mettere in discussione quando è già difficile far sentire la propria voce sulla politica economica, ma anche per evitare una maggiore frantumazione sociale. Ma se questo confronto si rivelasse invece una sorta di bagnasciuga sempre più ristretto per entrambe le parti?
Molte imprese appaiono tentate di fare da sole, riducendo il valore della delega alla propria associazione. E tale atteggiamento irrigidisce la posizione imprenditoriale al tavolo. Ma anche settori di lavoratori potrebbero essere invogliati a risolvere in una sorta di fai da te le vicende salariali. Ecco perché questa contesa contrattuale è diversa dalle precedenti. Se prevarrà il buon senso però un’intesa sarà possibile, concedendo qualcosa a tutti senza più duri scontri sociali quando servirebbe contro i rischi di una lunga stagnazione coesione ed impegno produttivo. Segnali si colgono e formule di compromesso sono alla portata delle parti magari rinviando… il futuro e rinfoderando le spade. Già il futuro, un nuovo inizio potrebbe essere annidato in un non improbabile atto legislativo del Governo. Sta di fatto che la storia dei contratti dall’autunno caldo ad oggi sembra vicina ad un epilogo. La prossima è tutta da scrivere. Se i sindacati reggono dopo questa prova che convalida le loro ragioni, se l’unità si rafforza e se la politica ritrova voce in capitolo, tutto è possibile. Intanto sarebbe saggio far prevalere il buon senso.