– DI FRANCESCA VIAN –
OTTIMISTA
Chissà se Nenni sarebbe stato contento di sapere che i vocabolari gli avrebbero assegnato la paternità dell’aggettivo “ottimista”: proprio lui che riteneva di essere un pessimista! Manlio Cortellazzo, nel suo Nuovo Dizionario etimologico della lingua italiana (1999) ha accettato una mia nota (Lingua Nostra, 1992) che individua in Nenni il precursore dell’aggettivo, nella forma di “ottimista” per “ottimistico”. All’epoca non avevo visto (a causa della difficoltà di estrarre i pezzi da microfilm) gli esempi di “ottimista” del 1921, e quindi la voce è datata 1926. Essa va retrodatata.
“Ma sull’atteggiamento della delegazione italiana altri sono meno ottimisti ed assicurano che non sa che pesci pigliare” (Avanti!, 3 agosto 1921, p. 1).
“Nonostante tutto, nell’entourage di Lloyd George si è ottimisti, ma di un ottimismo non scevro di inquietudini” (Avanti!, 13 aprile 1922, p. 1).
“Tutte le notti ci corichiamo con questa impressione ottimista: la Conferenza (di Genova, ndr) continua, l’incidente è risolto: e all’indomani, la Conferenza è nuovamente in panne, e l’incidente rinasce immancabilmente” (Avanti!, 26 aprile 1922, p. 4).
“Nonostante tutto siamo ottimisti, perché guardiamo lontano, perché abbiamo fiducia nelle nostre soluzioni, perché non dubitiamo dell’insuccesso dell’uomo e del partito, che sono al potere (Benito Mussolini ndr)” (Avanti!, 29 novembre 1922, ripubblicato in La battaglia socialista contro il fascismo, 1977).
Ottimista deriva dal latino ŏptimu(m), il superlativo di bŏnu(m); significa dunque “molto buono” e trae origine da un’altra parola latina: ŏpe(m), cioè ‘abbondanza, ricchezza’, di origine indeuropea. Ottimismo e il sostantivo ottimista esistono già: l’aggettivo, invece, è recente anche in Francia, dove questi composti di optimum sono nati, a partire nel 1752, ad opera dei Gesuiti. Ottimale e i suoi composti ci giungono invece dall’inglese.
Nenni si definisce pessimista, e anche Gaetano Arfè lo dichiara tale. A entrambi però viene il dubbio che non sia vero, o per lo meno sentono la necessità di precisare qualcosa al riguardo: Nenni dice che crede nel futuro, è pessimista dell’oggi, ma non del domani. Il grande storico, Gaetano Arfè, scrive di Nenni: “Pessimista per natura – forse anche per l’oltraggio precocemente consumato contro di lui da una società ottusa e crudele che lo recluse bambino nelle celle di un orfanotrofio e nell’isolamento della vita – lucidamente consapevole sempre delle asperità e delle difficoltà cui si va incontro, mai nel momento della lotta Nenni indulge a un solo accento che possa essere fonte di scoramento, sa essere suscitatore di entusiasmi”. I passaggi di Arfè sul coraggio di Nenni sono uno più bello dell’altro.
Si tratta allora di accordarci su cosa significa “pessimista”: chi fa coraggio agli altri a me sembra ottimista. Chi crede che le condizioni della vita siano da migliorare non è pessimista, ma optim-ista: non si accontenta, vuole optim-izzare, spera sempre in un mondo migliore. Alla fine non è la propria opinione di se stessi che ci rende tali, ma le “cose” che si sono testimoniate. E le cose di Nenni sono ottimistiche. Questa è solo la mia opinione personale.
No, mio caro Nenni, se hai avuto una infanzia triste e priva della libertà, non sei diventato pessimista. Lo credi perché non concedi, a uno che ha vissuto la tua infanzia, il lusso dell’ottimismo. Ma ti basta vedere un tralcio, per credere nella vita. Tu lo dirai di Bruno Buozzi, ma lo si può dire anche di Te.
Quando il 4 luglio 1944, Nenni parla ai cittadini della Roma appena liberata, con il Nord ancora all’inferno, vorrebbe che fosse Bruno Buozzi a raccogliere questa gioia. Ma “i briganti nazi-fascisti in fuga” hanno “abbattuto” il sessantatreenne prigioniero dei Tedeschi, “assieme a tredici volontari della libertà”, poco prima della liberazione di Roma.
Egli, grida Nenni nel suo discorso, non era “l’uomo uscito dalla sua classe per passare ad altra classe”, aveva “una formazione fatta nella strada e non nelle scuole”, aveva “una tendenza alla osservazione della vita più che allo studio astratto della vita”, era un uomo “che si è sempre posto di fronte ai problemi della vita e della lotta sentendosi il rappresentante di coloro che da giovane lo avevano strappato all’officina per farne prima un rappresentante di leghe, poi il segretario generale della FIOM, infine il segretario generale della Confederazione del Lavoro”. “Ieri”, nella “allucinante rovina” di Cassino, “vidi un vecchio contadino curvo sotto il peso della solforatrice e che nel sole infuocato andava alla ricerca di qualche tralcio di vite scampata per miracolo all’uragano di ferro e di fuoco. In quel contadino Bruno Buozzi avrebbe celebrato il lavoro che fa rinascere la civiltà dove la guerra ha tutto distrutto”, “e avrebbe salutato il mondo nuovo che rinasce sulle rovine del vecchio mondo. Aggrappiamoci a questa speranza, a questa certezza: ci salveremo col lavoro liberato dallo sfruttamento del capitalismo” e col “socialismo ricondotto alla fatica senza fatica dei costruttori di una nuova civiltà” (Pietro Nenni, Cosa avrebbe detto Bruno Buozzi, discorso tenuto al Teatro Adriano di Roma, il 4 luglio 1944, alle ore 18).
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