L’Isis e l’intricata matassa curda

-di MARTINO LONGO-

 

            Un proverbio Arabo sostiene che nel mondo ci siano tre calamità: le locuste, i topi e i curdi. Quello del popolo Curdo è il dramma di un popolo dimenticato, che con fierezza difende la propria identità millenaria e che tenta di perseguire con ogni mezzo il riconoscimento dei suoi diritti, un’indipendenza politica temuta dai popoli vicini e perciò ostacolata, una richiesta che non trova risonanza, che sembra muta di fronte all’assordante silenzio dell’Occidente. La questione Curda ben rappresenta nel suo dramma la fragilità di un Medio Oriente ormai fuori controllo che da tempo ha perso la sua stabilità: con la fine dell’impero Ottomano è venuto meno l’equilibrio instaurato da secoli di convivenza fra le varie etnie che lo componevano ma con la firma dei trattati di pace di Losanna si è sancita la cronica instabilità di tutto il Vicino Oriente, non rispettando gli accordi fatti nel trattato di Sevres e tradendo il principio di autodeterminazione dei popoli, così minuziosamente applicato in Europa, si preferirono seguire, le profetiche e prolifere vie indicate dalle società Francesi ed Inglesi che si divisero i territori da sfruttare senza tenere conto di nulla se non dei propri guadagni, tutto questo con il beneplacito del mondo che seppur vedendo, silente ha assistito e assiste alla al dramma di un popolo dimenticato.

            La questione curda riemerge infatti solo in caso di conflitti che coinvolgono il Medio Oriente e fanno da cassa di risonanza per la richiesta di un Kurdistan (letteralmente “Il paese dei curdi”) indipendente, così è sempre stato e così è tutt’oggi con la guerra civile che dal 2011 colpisce la Siria dove nella regione del nord, sono presenti 600.000 curdi-siriani. È una guerra che vede contrapporsi inizialmente solo il governo dispotico del presidente siriano Assad e i ribelli al suo governo, con l’inserimento poi nel giugno 2014 di un’enorme complicazione cioè la proclamazione da parte dell’ISIS, un gruppo islamista attivo fra Siria ed Iraq, di un califfato nei territori da loro conquistati, territori che sono compresi fra la Siria nordorientale e l’Iraq occidentale. Perciò coinvolgendo anche i curdi Siriani che con il tempo si sono rivelati l’unica forza sul terreno in grado di affrontare i miliziani dell’IS, in particolare le forze militari del PYD (partito dell’unione democratica), che in un primo tempo hanno combattuto sole contro l’avanzata di Daesh, come nel caso dell’eroica difesa della città di Kobane, guadagnandosi così la fiducia degli USA, che ora li sostengono e li aiutano militarmente. Questo schieramento degli Stati Uniti dalla parte dei curdi siriani, complica gli equilibri geopolitici della zona in quando Erdogan considera il PYD un’  estensione siriana del PKK(partito dei lavoratori Curdi) attivo in Turchia, quindi un gruppo terroristico da abbattere, poiché pericoloso per gli equilibri interni della nazione.

            La Turchia infatti è l’altra grande protagonista in questo complicato scenario sia per i suoi difficili rapporti con la Siria sia per la lotta agli indipendentisti curdi, due temi che si legano fortemente tra loro. Infatti i rapporti tra Ankara e Damasco che negli anni ’80 e ’90 hanno vissuto forti momenti di tensione, per l’appoggio di Assad al PKK finalizzato ad una destabilizzazione della Turchia e che si erano rappacificati con l’accordo di Adana nel 1998, si erano nuovamente incrinati all’inizio del 2011 quando la Turchia si schierò apertamente con i ribelli al governo dispotico di Assad ospitando le basi operative del braccio armato della rivolta siriana, il cosiddetto Esercito libero siriano (Free syrian army), portando così il presidente Assad, ad appoggiare nuovamente i curdi siriani raggruppati sotto il PYD , fortemente anti-turco, poiché legato strettamente al PKK. Con l’inizio della guerra civile Erdogan è riuscito così ad indebolire fortemente Assad, tuttavia rimane ancor oggi vivo il problema curdo. Infatti i curdi siriani e turchi sembrano l’unico freno alle ambiziose mire di Erdogan, che negli ultimi anni ha cercato di imporre alla Turchia una svolta presidenziale, in tal modo da assumere sempre più potere per portare avanti la sua politica di islamizzazione di quella che secondo i progetti di Ataturk, doveva essere una Turchia laica e Occidentale. Inoltre Erdogan punta a fare della Turchia la nazione egemone di tutto il Medio Oriente, in una politica di matrice neo-ottomana.

            La Turchia perciò deve affrontare il problema curdo sia al suo interno che in Siria. Da un lato Ankara, infatti ha interesse che gli insorti Siriani, ai quali fornisce supporti logistici ed armi, abbattano Assad e dall’altro che l’ISIS, dal quale il governo Turco ha preso le distanze solo recentemente su pressione di Obama, indebolisca Assad come i curdi del PYD. Sul fronte interno Erdogan, dopo l’esaltante vittoria della sinistra liberale filo-curda dell’HDP nel giugno del 2015, ha messo in atto una strategia della tensione, per riassumere il controllo totale del parlamento nelle elezioni di novembre, riuscendo perfettamente nei suoi progetti. Infatti l’intenzione del presidente Turco era quella di infiammare il sud-est a maggioranza curda, così da provocare una reazione violenta del PKK che avrebbe interrotto una tregua che durava dal 2013 e che dal 1984 aveva portato 40.000 vittime, alla quale nessuno avrebbe voluto rinunciare, per veicolare il messaggio che erano i curdi del PKK a voler interrompere la pace e che senza una forte legittimazione dell’Akp (partito del presidente Erdogan) la Turchia sarebbe ripiombata nel caos. La sua strategia perfettamente riuscita ha dato i suoi frutti, Erdogan ha infatti riacquisito la maggioranza assoluta, prendendo i voti dallo stesso HDP incapace di perseguire il progetto politico di rottura rispetto ai precedenti partiti curdi che aveva portato avanti cioè: ambizioni nazionali, apertura verso tutte le minoranze, ed una proposta politica e diplomatica alternativa alla lotta armata per la questione curda. Ma l’Hdp non ha saputo prendere le distanze dal PKK, non ha saputo far valere la propria unicità, invocando con fermezza la cessazione delle ostilità da ambo le parti e pretendere il ritorno al tavolo negoziale. Venendo delegittimato sia dal PKK sia da Erdogan che si è dimostrato agli occhi dei Turchi come l’unico in grado di saper mantenere l’ordine.

            Al governo turco rimane ora il problema dei Curdi del Rojava in Siria, ai quali l’alleato USA non sembra voler rinunciare poiché fondamentali nella lotta all’ISIS e anzi con la volontà di inserirli nelle trattative di pace, che si stanno susseguendo per mettere fine alla guerra civile, sembra paventarsi per i curdi l’opportunità di avere un ruolo decisivo nella formazione della nuova Siria, nella quale potrebbero godere di un’indipendenza amministrativa, nel caso si optasse per la soluzione federale, come già avvenuto in Iraq. Erdogan cerca in ogni modo di contrastare questa soluzione che gioverebbe al PKK che troverebbe in Siria solidi e legittimati alleati, per continuare la lotta armata al governo di Ankara. La Turchia perciò si oppone sia alla creazione di un Kurdistan indipendente, sia ad ogni tipo di autonomia curda, che in tal modo comprometterebbe definitivamente le ambizioni di Erdogan e la stabilità della Turchia.

            Forse i curdi non potranno mai essere uniti sotto un’unica bandiera, forse mai esisterà un Kurdistan indipendente, ma sicuramente il popolo curdo non morirà mai, i curdi continueranno a vivere e con essi la lingua, la storia, l’identità di un popolo millenario che mai smetterà di lottare, mai verrà schiacciato.

Morire per te, Kurdistan, nulla è più bello.

Essere padrone nella propria casa e fieramente cantare in curdo,

Nella fiamma delle nostre armi celebrare la gloria

Della nostra stirpe millenaria, della nostra terra amata.

Essere liberi, amare, credere e morire.

Interroga questa fontana, e ti dirà,

Nel suo mormorio, che vi sono mille sospiri,

Mille lacrime, mille rivolte e mille speranze…

 

(poesia popolare curda)

fondazione nenni

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