-di SILVANO MINIATI-
Il Ministro Poletti, evidentemente all’insaputa di quanti invocano un confronto serio sulla previdenza, ha firmato l’ennesimo decreto; questa volta relativo al part-time in uscita. Nel comunicato che dà notizia della iniziativa, si parla di part-time agevolato in uscita per i lavoratori prossimi alla pensione. Il ministro ha intitolato il suo decreto (che dà attuazione a una norma introdotta nella legge di stabilità 2016): “invecchiamento attivo”. In sostanza chi ha versato venti anni di contributi e maturerà i requisiti anagrafici entro il 31 dicembre 2018, potrà chiedere il part time rinunciando a una quota di salario tra i 40 e il 60 per cento. I soldi che i datori di lavoro avrebbero dovuto versare all’Inps sotto forma di contributi per le ore che non vengono lavorate, finiscono in busta paga; la parte di versamenti mancanti sarà coperta dai contributi figurativi, scelta che non allevierà certo le sofferenze di bilancio dell’Istituto Nazionale di Previdenza sociale.
Ancora una volta siamo in presenza di una strategia che piaccia o no a Poletti e anche a Boeri, non possiamo che definirla della talpa cieca. La talpa cieca infatti viene così conosciuta perché non vede e si muove solo sottoterra tracciando cunei nel terreno senza sapere dove è diretta. Se nell’orto o nel campo esiste una talpa cieca, lo scopri perché un bel giorno vedi che il terreno è stato completamente dissestato.
Se ci pensiamo un attimo, ci accorgiamo che al ministero del lavoro hanno studiato bene e fatta propria la logica dell’animale in questione: si butta all’aria il terreno circostante e poi eventualmente si porrà rimedio ai guasti prodotti.
Nel frattempo però, per occultare i danni, diventa consigliabile cercare di abbellire un tantino il sito e quindi piantare qua e là qualche fiorellino che nasconda la devastazione.
Si parla ad esempio di lavoratori prossimi alla pensione e non si tiene conto del fatto che il requisito anagrafico per vecchiaia a fine del 2018 sarà di ben 66 anni e 7 mesi per i lavoratori dipendenti maschi e di 65 anni e 7 mesi per le lavoratrici. Intanto per le donne rimane sempre presente l’ipotesi di riconfermare l’età di vecchiaia già ampiamente contestata e di attenuarla con 2/3% di penalizzazione per ogni anno di cosiddetta anticipazione, e non è affatto chiaro se ciò comporti inoltre il passaggio automatico al contributivo.
Da quanto pubblicato da Ansa Economia e dal Sole 24 Ore, emerge ancora una volta l’improvvisazione del governo nel cercare di dare risposte ai problemi da tempo sul tappeto. La prima questione che balza evidente è che si parla di età anagrafica per la vecchiaia a 66 anni e 7 mesi senza nessun riferimento a questioni che sono state più volte sollevate in questi mesi.
Mi riferisco alla richiesta emersa a gran voce, da molto tempo e da più parti, di considerare l’età anagrafica in rapporto al tipo di lavoro e di prestazione richiesta, alla nocività dell’ambiente, prima di avventurarsi a fissare nuove condizioni relative all’età e che rischiano di essere concepite solo per fare cassa.
Altro problema continua a essere quello del chi paga. È davvero intollerabile che quando si parla della copertura a vantaggio di pochi o tanti cittadini, e si studiano misure a carico dello stato, non si dica con quali risorse l’INPS dovrebbe farvi fronte, ricordando sempre che l’INPS non è Pantalone e non è neppure un pozzo dei miracoli.
Proseguire sulla strada dei piccoli vantaggi concepiti come semplici interventi per far dimenticare promesse non mantenute o per allungare la lista dei “vorrei ma non posso” non porta da nessuna parte. Scaricare tutto sull’INPS ha due inconvenienti molto seri. Non si tiene conto che l’INPS è di tutti ma a tenerla in piedi sono sempre i soliti lavoratori dipendenti.
Il bilancio dell’INPS, quando è in sofferenza è un problema di tutti, soprattutto quando viene usato in modo terroristico per dire no a chi usufruisce di pensioni troppo basse o rivendica il diritto di poter andare in pensione senza vedere il proprio reddito massacrato prima ancora di accendersi.