Beni culturali e libera professione*                                 

-di MASSIMO LAURENZI- 

Le forme autonome di lavoro […] costituiscono oggi il corpo sociale

che più consistentemente è scivolato verso il rischio della povertà.

Vent’ anni fa Emilio Cabasino in un articolo dal titolo I “collaboratori esterni” delle Soprintendenze scriveva: “Il fenomeno del ricorso a professionisti esterni per attività di supporto ed integrazione a quelle espletate dai funzionari tecnici dell’amministrazione dei beni culturali ha costituito per molti anni una sorta di praticantato che solo per pochissimi si è tramutato in lavoro definitivo […] la mancanza di concorsi di accesso alle carriere direttive del Ministero, deriva probabilmente da una stima carente per difetto delle piante organiche dell’amministrazione […] si sta formando una categoria di professionisti dei beni culturali per i quali non esiste alcun riconoscimento formale né alcun riferimento oggettivo per lo svolgimento della propria attività professionale valida su scala nazionale”.

Vent’ anni dopo nel nostro Paese la caotica composizione che il lavoro autonomo ha assunto, è il naturale e prevedibile risultato di una denegata attenzione politica alla sua regolamentazione; la libera professione, ha smesso di essere concepita come strumento ausiliario dell’ istituzione per assumere una funzione quasi alternativa ad essa.

Nei Beni Culturali, il disagio si amplifica. Per far fronte ad un cronico impoverimento delle risorse destinate al pubblico impiego si è ricorsi in modo sempre più massiccio ai liberi professionisti. Fenomeno che ha permesso di governare il crescente impegno nella valorizzazione e nella tutela, ma che di contro ha silenziosamente generato un profondo squilibrio.

Si legge in un documento prodotto dall’associazione Bianchi Bandinelli nel 2013:

“strutturalmente la complessità del sistema di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale pubblico in Italia si regge prevalentemente sul lavoro esternalizzato: a singoli, a cooperative, ad agenzie di servizi private che operano per il Patrimonio”.

Guardando il bicchiere mezzo pieno, bisogna sottolineare che la riflessione in merito ai professionisti dei beni culturali, si è fatta di certo più sensibile: il sedimentarsi di Norme UNI che regolano e definiscono i profili professionali; la legge 4/2013, l’impegno di associazioni come Colap, Acta e Coalizione27febbraio, la predisposizioni di elenchi Ministeriali di professionisti accreditati,  l’attuale e importantissimo dibattito sui lavori in corso per la definizione di uno statuto per il lavoro autonomo previsto dalla legge di stabilità 2016, incentivano la speranza che la “fragilità” della libera professione venga sanata dalla costituzione di una solida e specifica “architettura di sostegno e di protezione”.

Occorre tuttavia procedere con cautela, orientandosi fra prospettive possibili e circostanze reali. Chi scrive ad esempio, riflette anche per appartenenza,  sui dati emersi dalla “rilevazione sulla professione” che l’Anai (Associazione Nazionale Archivistica Italiana) ha condotto nel 2014.

Fra i molti aspetti è significativo soffermarsi su due: la percentuale di Liberi Professionisti registrata rispetto agli “strutturati” (siano essi dipendenti pubblici o privati),  e la media retributiva di un libero professionista dei beni culturali. Su un campione di 1394 questionari completati, il 23% rappresenta la quota della libera professione (contratti atipici differenti) mentre la retribuzione media annua lorda, è per il 34% inferiore ai 5.000 euro, per il 26% inferiore ai 10.000 euro.

Seppur relativi e parziali, i dati delineano uno scenario sufficientemente preoccupante.  Il numero di liberi professionisti (per lo più qualificati) continua a crescere  a fronte di una retribuzione per così dire insufficiente. È certo ingiusto giudicare senza tener conto di un complesso presente  fatto di problematiche legate al mondo del lavoro a livello nazionale ed europeo e di un sistema economico in cui la disoccupazione involontaria è divenuta strutturale. Ragionando per trasbordo si finisce però per rilevare come paradossale sia considerare la cultura come volano economico di questo nostro paese, e al contempo svilire gli stessi professionisti dei beni culturali.

L’imminente concorso indetto in deroga dal Mibact per 500 funzionari è indubbiamente un segnale di rottura  forte con la spiacevole tendenza di concepire il volontariato e il tirocinio formativo come strumenti succedanei ad un serio piano di assunzioni nel comparto dei Beni culturali. Ma è sufficiente? Oltre 20 anni di blocco delle assunzioni  hanno creato pesanti ritardi strutturali e finito per ridefinire gli stessi paradigmi di inserimento e gestione del lavoro.

La contaminazione e le nuove definizioni di lavoro AGILE, auspicano un modello che conduca al superamento della rigida distinzione tra lavoro autonomo e lavoro dipendente, ma dovrebbero in primo luogo preoccuparsi di fornire ai lavoratori tutele proporzionate alle prestazioni professionali erogate, garantendo il raggiungimento di quell’autonomia sociale che è il fondamento dei diritti di ogni individuo.

Siamo pronti?

 

*Questo mio contributo sconta un doveroso ringraziamento alla dott.ssa La Sorda e dal cui recente intervento “i Liberi professionisti e l’amministrazione archivistica” prende origine e sostanza.

 

 

                                           

 

 

     Beni culturali e libera professione*

 

 

di Massimo Laurenzi

 

Le forme autonome di lavoro […] costituiscono oggi il corpo sociale che più consistentemente è scivolato verso il rischio della povertà.

 

Vent’ anni fa Emilio Cabasino in un articolo dal titolo I “collaboratori esterni” delle Soprintendenze scriveva: “Il fenomeno del ricorso a professionisti esterni per attività di supporto ed integrazione a quelle espletate dai funzionari tecnici dell’amministrazione dei beni culturali ha costituito per molti anni una sorta di praticantato che solo per pochissimi si è tramutato in lavoro definitivo […] la mancanza di concorsi di accesso alle carriere direttive del Ministero, deriva probabilmente da una stima carente per difetto delle piante organiche dell’amministrazione […] si sta formando una categoria di professionisti dei beni culturali per i quali non esiste alcun riconoscimento formale né alcun riferimento oggettivo per lo svolgimento della propria attività professionale valida su scala nazionale”.

 

Vent’ anni dopo nel nostro Paese la caotica composizione che il lavoro autonomo ha assunto, è il naturale e prevedibile risultato di una denegata attenzione politica alla sua regolamentazione; la libera professione, ha smesso di essere concepita come strumento ausiliario dell’ istituzione per assumere una funzione quasi alternativa ad essa.

 

Nei Beni Culturali, il disagio si amplifica. Per far fronte ad un cronico impoverimento delle risorse destinate al pubblico impiego si è ricorsi in modo sempre più massiccio ai liberi professionisti. Fenomeno che ha permesso di governare il crescente impegno nella valorizzazione e nella tutela, ma che di contro ha silenziosamente generato un profondo squilibrio.

 

Si legge in un documento prodotto dall’associazione Bianchi Bandinelli nel 2013:

“strutturalmente la complessità del sistema di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale pubblico in Italia si regge prevalentemente sul lavoro esternalizzato: a singoli, a cooperative, ad agenzie di servizi private che operano per il Patrimonio”.

 

Guardando il bicchiere mezzo pieno, bisogna sottolineare che la riflessione in merito ai professionisti dei beni culturali, si è fatta di certo più sensibile: il sedimentarsi di Norme UNI che regolano e definiscono i profili professionali; la legge 4/2013, l’impegno di associazioni come Colap, Acta e Coalizione27febbraio, la predisposizioni di elenchi Ministeriali di professionisti accreditati,  l’attuale e importantissimo dibattito sui lavori in corso per la definizione di uno statuto per il lavoro autonomo previsto dalla legge di stabilità 2016, incentivano la speranza che la “fragilità” della libera professione venga sanata dalla costituzione di una solida e specifica “architettura di sostegno e di protezione”.

 

Occorre tuttavia procedere con cautela, orientandosi fra prospettive possibili e circostanze reali. Chi scrive ad esempio, riflette anche per appartenenza,  sui dati emersi dalla “rilevazione sulla professione” che l’Anai (Associazione Nazionale Archivistica Italiana) ha condotto nel 2014.

 

Fra i molti aspetti è significativo soffermarsi su due: la percentuale di Liberi Professionisti registrata rispetto agli “strutturati” (siano essi dipendenti pubblici o privati),  e la media retributiva di un libero professionista dei beni culturali. Su un campione di 1394 questionari completati, il 23% rappresenta la quota della libera professione (contratti atipici differenti) mentre la retribuzione media annua lorda, è per il 34% inferiore ai 5.000 euro, per il 26% inferiore ai 10.000 euro.

Seppur relativi e parziali, i dati delineano uno scenario sufficientemente preoccupante.  Il numero di liberi professionisti (per lo più qualificati) continua a crescere  a fronte di una retribuzione per così dire insufficiente. È certo ingiusto giudicare senza tener conto di un complesso presente  fatto di problematiche legate al mondo del lavoro a livello nazionale ed europeo e di un sistema economico in cui la disoccupazione involontaria è divenuta strutturale. Ragionando per trasbordo si finisce però per rilevare come paradossale sia considerare la cultura come volano economico di questo nostro paese, e al contempo svilire gli stessi professionisti dei beni culturali.

 

L’imminente concorso indetto in deroga dal Mibact per 500 funzionari è indubbiamente un segnale di rottura  forte con la spiacevole tendenza di concepire il volontariato e il tirocinio formativo come strumenti succedanei ad un serio piano di assunzioni nel comparto dei Beni culturali. Ma è sufficiente? Oltre 20 anni di blocco delle assunzioni  hanno creato pesanti ritardi strutturali e finito per ridefinire gli stessi paradigmi di inserimento e gestione del lavoro.

 

La contaminazione e le nuove definizioni di lavoro AGILE, auspicano un modello che conduca al superamento della rigida distinzione tra lavoro autonomo e lavoro dipendente, ma dovrebbero in primo luogo preoccuparsi di fornire ai lavoratori tutele proporzionate alle prestazioni professionali erogate, garantendo il raggiungimento di quell’autonomia sociale che è il fondamento dei diritti di ogni individuo.

Siamo pronti?

 

*Questo mio contributo sconta un doveroso ringraziamento alla dott.ssa La Sorda e dal cui recente intervento “i Liberi professionisti e l’amministrazione archivistica” prende origine e sostanza.

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

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