Italia, paese in grigio

-di SANDRO ROAZZI-

La fotografia dell’Italia nel 2015 che l’Istat documenta con tante cifre ci consegna un Paese che mostra evidenti le sue contraddizioni sociali e territoriali, ma che al tempo stesso segnala anche una vitalità che andrebbe sostenuta e rafforzata. Certo, siamo un Paese sempre più con i capelli grigi. E in questi ultimi anni di recessione anche la speranza di vita ha segnato una flessione per gli uomini e, soprattutto, per le donne. Un Paese che concentra un terzo della popolazione in sole tre regioni, Lombardia, Lazio, Campania, che fa meno figli e dove ormai più di 5 milioni di abitanti sono stranieri. Emerge in questo caso, come in altri (vedi il capitolo povertà che riguarda un decimo delle famiglie italiane), l’esigenza di politiche per la famiglia meglio mirate. Insomma restiamo a tutti gli effetti un Paese in chiaroscuro: la soddisfazione per la propria condizione economica tocca il 47% degli italiani rilevando al tempo stesso una spaccatura nella percezione del benessere della nostra società ma anche una certa resistenza ad un pessimismo senza vie d’uscita sull’oggi e sul futuro. Poco meno della metà degli italiani leggono quotidiani ed altre pubblicazioni ma anche in questo caso è profonda la demarcazione che divide il Nord dal Sud. Un giovane su due legge le news sulla rete, ma solo l’8% degli italiani legge o scarica libri dal web. E siamo ancora e sempre un Paese di piccole imprese: 62 in media su 1000 abitanti, solo che rispetto alla media degli addetti in Europa sono più “micro”: 3,8 contro gli oltre 5 addetti nella Ue.
E l’altalena prosegue sul lavoro: meno disoccupazione (ma il sud è sempre attestato attorno al 20% o poco meno), ma resta il problema di coloro che sono fuori dal lavoro per molto tempo (6 su 10 lo cercano da oltre un anno). E ci sono poi i guasti della recessione da riassorbire: cala la spesa delle famiglie per gli svaghi culturali, tiene il turismo ma i soggiorno sono sempre più brevi, alla “arriva e fuggi”. E metà delle nostre regioni erano l’anno scorso in deflazione. Non sono cifre da Paese in declino, semmai sono dati da paese che deve rimboccarsi le maniche. Un Paese che se recuperasse un’anima progettuale, potrebbe guardare con migliore fiducia al futuro. Perché i dati dell’Istat certamente aiutano a capire ma non possono essere di molto aiuto nel comprendere gli aspetti psicologici, le attese e le incertezze che maturano nel dopo-crisi. E soprattutto nulla possono dirci di nuovo sui comportamenti di questa fase di bassa crescita che confina con la stagnazione. Ma questo è terreno di lavoro per la politica e le forze sociali.

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