-di VALENTINA BOMBARDIERI-
In questi giorni in cui il dibattito sul terrorismo si fa sempre più acceso diviene necessario cercare di comprendere ed evitare generalizzazioni. Rifat Aripen è all’interno del coordinamento del CAIL, Coordinamento Associazioni islamiche del Lazio. Rifat è originario del Bangladesh ma vive e studia in Italia. E’ un italiano musulmano.
Cominciamo dalle origini. Quando, come e perché nasce il fondamentalismo islamico?
“La religione islamica è sempre state studiata e compresa grazie agli imam, coloro che studiavano e spiegavano i precetti religiosi. Fin quando la religione è stata legata a queste persone, in grado di dare un giudizio tollerante e moderato, il fondamentalismo non esisteva. È chiaro che il fondamentalismo nasce dopo il post colonialismo, dopo le guerre nel Medioriente; nasce come la rivendicazione di un popolo che si sente oppresso. Il primo kamikaze della storia è stato un ebreo, leader del movimento sionista. Successivamente questo modello venne preso dagli iracheni nella Guerra del Golfo. Il fondamentalismo è il prodotto di ingiustizie che hanno portato alla divulgazione di ideali, sicuramente sbagliati perché espressi con la violenza”.
Taluni collocano l’esplosione dell’estremismo islamico nel 1967, come conseguenza della sconfitta nella guerra dei sei giorni di Nasser e di quelle forme di socialismo arabo che avevano avuto ampio seguito (in Iraq, in Siria): la delusione per il fallimento della via “materialistica” al riequilibrio dei rapporti socio-politici-economici nell’area avrebbe spinto settori crescenti a trovare risposte ai medesimi bisogni attraverso una spiritualità esacerbata.
“Credo che sia vero solo in parte. All’inizio del ‘900 nasce il movimento dei Fratelli Musulmani in Egitto con lo scopo di liberarsi dagli oppressori stranieri e dai dittatori. Bisogna intanto specificare che il termine “Jihad” non vuole dire guerra santa ma vuole dire “sforzo”, si riferisce quindi a uno sforzo fisico”.
A proposito di interpretazioni, cosa pensa di chi legge la Sura che apre le cinque preghiere quotidiane come un incitamento a combattere cattolici ed ebrei?
“La Sura I recita: “la via di coloro che hai colmato di grazia, non di coloro che [sono incorsi] nella [Tua] ira, né degli sviati”. Non viene specificato di chi si tratta. Alcune interpretazioni ritengono che ci si riferisca agli ebrei o a coloro che hanno tradito la parola di Dio. Il Corano non parla di ebrei o cristiani vengono citati come “la gente del libro”, ovvero coloro che hanno avuto la rivelazione e sono degni di tutto rispetto da parte della comunità islamica perché è il Profeta stesso a insegnarlo. Non si può e non si deve ricondurre tutto questo alle vicende attuali”.
Venendo, però, ai giorni nostri, nelle drammatiche vicende che stiamo vivendo incide in qualche maniera il sordo confronto geo-politico tra l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita?
“Credo che il problema vero sia che i rappresentanti non facciano l’interesse del popolo. Arabia Saudita e Iran non sono paesi democratici”.
Ma cosa spinge ragazzi nati e cresciuti in occidente a farsi esplodere nella hall di un aeroporto o nel vagone di una metropolitana? Cosa li induce a correre in Siria per combattere agli ordini di Abu Bakr Al Baghdadi? Qual è l’identikit del foreign fighters?
“I terroristi sono giovani che sono vissuti nel mondo occidentale, non sono ragazzi cresciuti nelle Moschee. Analizzando la storia di gran parte dei terroristi ci rendiamo conto che si tratta di persone disagiate, spesso con precedenti penali alle spalle. Questi individui non hanno come riferimento e motivazione la religione: questo è un dato che mi preme sottolineare. È necessario agire nelle Moschee, nei centri di aggregazione dove pochi parlano a tanti. La cosa che fa più rabbia è la strumentalizzazione verso la comunità islamica, comunità di vittima di pregiudizi ingiusti. Noi non siamo l’Isis. Il 90% delle vittime dell’Isis sono musulmani e questo ci fa capire quanto ci sia di Islam nel loro operato. Nessun principio religioso giustifica il loro comportamento. E non aiuta accostare in modo forzato il loro operato alla religione perché così facendo viene fornito uno scudo alle loro azioni”.
Lei quindi non ritiene che c’entri la religione. Ma se così è, allora bisogna giungere alla conclusione che l’Isis interpreti male il Corano. E se è così, può spiegarci quali sono i passi che sono stati fraintesi o strumentalmente manipolati?
“La Sura IX, che viene spesso utilizzata affiancandola al nome dell’Isis, recita “fanno eccezione quei politeisti con i quali concludeste un patto, che non lo violarono in nulla e non aiutarono nessuno contro di voi: rispettate il patto fino alla sua scadenza. Allah ama coloro che [Lo] temono. Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati. Se poi si pentono, eseguono l’orazione e pagano la decima, lasciateli andare per la loro strada. Allah è perdonatore, misericordioso. E se qualche associatore ti chiede asilo, concediglielo affinché possa ascoltare la Parola di Allah, e poi rimandalo in sicurezza. Ciò in quanto è gente che non conosce!”. Il versetto decontestualizzato assume naturalmente una connotazione negativa ma basta approfondire per capire che non è così. E’ necessario comprendere la storia della religione islamica e anche i riferimenti storici del Corano, che spesso vanno intesi come tali. C’è un discorso storico che viene tralasciato”.
Spesso sentiamo parlare della Sharia. Che cos’è?
“Sharia è una parola araba che vuol dire “fonte”, “sorgente” e “via”. È la via che ti porta alla fonte. Nel significato metafisico è la Legge di Dio e, in quanto tale, rimane sconosciuta agli uomini. I versetti nel Corano che parlano della Sharia sono solo 228. Lo stato segue la Sharia. Le fonti della legge islamica sono generalmente considerate il Corano e la Sunna (per gli sciiti conta solo il primo, n.d.r.). La Sharia non è il Corano. Nessun verso del Corano o della Sunna va contro ideali di giustizia o di civiltà. È necessario imparare a comprendere i testi sacri, qualsiasi testo sacro di cui si stia parlando. Prima di essere fedeli dobbiamo imparare a essere cittadini”.
A suo parere alcune potenze occidentali hanno contribuito direttamente o indirettamente alla crescita di organizzazioni islamiche estremiste prima in Afghanistan e poi in Siria?
“Sicuramente tantissimo. Prima degli interventi occidentali statisticamente le guerre e le violenze erano di meno. Molte volte si nasconde la volontà di esportare la democrazia con gli interessi commerciali. Basti pensare a chi vende e produce le armi e a quanti soldi vengono investiti in questo settore”.
In che misura l’Isis è egemonizzata militarmente dai vecchi ufficiali dell’esercito di Saddam?
“In gran parte. Poi bisogna anche sottolineare il giro economico che si muove intorno all’Isis. Ciò che ci viene mostrato non corrisponde alla realtà o corrisponde solo in parte”.
Al mondo islamico viene imputata una certa arretratezza sul fronte dei diritti civili e della condizione della donna. In Marocco sono stati compiuti notevoli passi in avanti con il nuovo diritto di famiglia ma nel complesso la valutazione resta negativa. Perché?
“Oggi non c’è un solo Islam. Nel mondo islamico la donna è tutelata. Ogni paese poi ha fatto un proprio percorso storico, che va compreso e rispettato in un’ottica di sviluppo. Io vivo in Italia e spesso vedo disparità di trattamento tra donna e uomo anche nel mondo occidentale. Anche su questo tema la nostra comunità è vittima di una interpretazione strumentale della religione. Ci sono sicuramente alcune cose discutibili che bisogna modificare. Però ci sono aspetti positivi che vanno sottolineati. In Bangladesh il primo ministro si chiama Sheikh Hasina, è una donna. In Italia non è mai successo. La religione islamica ha dato alla donna il diritto di proprietà. Per molte il velo è una scelta religiosa: il loro amore verso Dio le spinge a fare spontaneamente ciò che Dio le chiede tramite il Sacro Corano e che viene precisato dai detti del Profeta Mohammed. È una scelta spesso non imposta. Purtroppo, chi non è musulmano, non riesce a comprendere il mondo delle donne musulmane, e in molti tendono a considerarle come povere sciocche sottomesse al marito, senza personalità né libertà di scelta nella vita. Ma questa è un’immagine completamente distorta e lontana dalla realtà. Nella Sura XXIV il versetto 31 recita: “E di’ alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne. E non battano i piedi, sì da mostrare gli ornamenti che celano. Tornate pentiti ad Allah tutti quanti, o credenti, affinché possiate prosperare”. Cinquant’anni fa in Italia le donne andavano al mare coperte. È una scelta di pudore, che può essere condivisa o meno dal mondo occidentale. Può essere fatto anche per una questione sociale: “lo portano tutti”. Obiettivamente discorsi non diversi dal mondo occidentale. Il velo non fa la musulmana, come l’abito non fa il monaco. Discorso diverso è poi quello del burka, figlio di un fondamentalismo che vorrei non venisse più affiancato al mondo islamico in generale. Viene usato principalmente in Afghanistan e successivamente è stato adottato da qualche altro paese, pochissimo, comunque. Il burka non si fonda sul Corano. Nel versetto 30 si parla di sguardo ma il precetto viene riferito agli uomini”.
Cosa ne pensa della proposta di D’Alema per un ampliamento anche alla comunità islamica dei benefici dell’8X1000? Può essere uno strumento per consentire un avvicinamento tra due mondi che oggi, per i fatti noti, tendono a guardarsi con una certa diffidenza?
“In questo momento è più che mai è necessario ragionare in un’ottica di inclusione. Bisogna pensare a una Moschea Italiana. Siamo la seconda comunità al mondo (i cristiani sono oltre due miliardi, i musulmani un miliardo e seicento milioni, n.d.r.) ed è giusto avere un riconoscimento che tante altre comunità hanno già avuto”.
Quanto è alto il livello di rischio attentati per l’Italia? Il Califfato minaccia un giorno sì l’altro pure la conquista di Roma: quanto dobbiamo preoccuparci?
“Io sono preoccupato, penso però che sia importante collaborare tra noi cittadini. Mentre le istituzioni devono fare il proprio lavoro. Sono convinto che da parte nostra sia necessario comprendere che non ci sono guerre di religione. Vorrei sottolineare che i terroristi non hanno contatti nelle Moschee, possono girare nelle Moschee come nelle stazioni, in quanto luoghi pubblici. Dobbiamo unirci al di là della religione nel perseguimento di un interesse comune. Noi giovani siamo la colonna portante del mondo, bisogna insegnare l’inclusione e l’apertura verso altre religioni”.
Secondo lei, cos’è che non sta funzionando nelle politiche adottate per la lotta al terrorismo?
“Credo che sia necessaria la collaborazione tra i servizi segreti dei diversi paesi. Ci troviamo ad affrontare delle mine vaganti, figlie di anni di politiche sbagliatissime. Ora ognuno deve prendersi le proprie responsabilità”.