Terrore e libertà di culto

-di ANTONIO MAGLIE-

Dato che la prima arma contro il terrorismo è la conoscenza (per capire i nemici ma anche per evitare generalizzazioni e individuare gli amici), abbiamo deciso di pubblicare questa intervista a Rifat Aripen, giovanissimo coordinatore delle associazioni musulmane nel Lazio. Un modesto contributo a un dibattito che non può e non deve essere alimentato solo dagli esperti di guerre che ormai da giorni affollano i salotti televisivi per spiegarci, come si suol dire, la rava e la fava, riuscendovi in maniera decisamente parziale. Le questioni, poi, sono così complesse che non possono essere certo risolte con un colpo di cannone per quanto ben assestato. Il guaio è che quando qualcuno prova a spostare il discorso su un terreno un po’ più costruttivo, irrompono in campo i “duri e puri” che fanno sfoggio dai palcoscenici mediatici dei propri muscoli un po’ come fanno negli spogliatoi certi gonfi frequentatori di palestre.

            Massimo D’Alema, proprio mentre ci preparavamo a santificare la Pasqua a colpi di abbacchi e colombe, ha provato ad articolare un discorso che forse non risolverà il problema immediato del terrorismo, ma potrebbe aiutarci, con l’inclusione, a evitare che la questione si cronicizzi, cosa d’altronde già avvenuta in Francia e Belgio. D’Alema all’agone polemico è abituato e non ha avuto problemi a sostenere una semplicissima tesi: “In Europa ci sono 40 milioni di musulmani… E’ evidente che nell’attuale situazione le persone di cui stiamo parlando vivono come comunità separate… Vorrei che queste persone si sentissero a tutti gli effetti cittadini italiani, preferirei potessero costruire le loro moschee come si costruiscono le chiese, cioè con il denaro pubblico. In Italia, per la Chiesta Cattolica, esiste l’otto per mille ma c’è un milione e mezzo di persone che non sono riconosciute”.

            Di fronte a questa “provocazione” (modestissima, peraltro) Matteo Salvini ha risposto nel suo solito modo cioè con un misto di eleganza dialettica e raffinatezza intellettuale. Il valente ministro dell’Interno, Angelino Alfano, timoroso di perdere pezzi del già scarso consenso che i sondaggi gli accreditano, ha liquidato la cosa non ritenendola all’ordine del giorno. Perché mai? Forse perché si ritiene la religione musulmana un culto guerriero? Franco Cardini, insigne studioso della materia, in un libro uscito da qualche giorno (“L’Islam è una minaccia? Falso”, Laterza) a proposito di queste visioni belliciste delle divinità scrive: “Chi ha letto soprattutto (ma non solo) l’Esodo, i Libri dei Re, i Salmi e l’Apocalisse conosce bene il Dio degli eserciti, il distruttore dei nemici di Israele, l’Emanuele che significa Dio-con-noi (espressione che i cristiano-evangelici re di Prussia scrissero sulle loro bandiere, Got mit uns, e motto che i soldati della Wermacht portavano inciso sulle fibbie dei cinturoni). Questo Dio guerriero non è certo monopolio dei musulmani”. Semmai le storie di esclusione sociale che fanno da propellente agli attentatori suicidi francesi e belgi dovrebbero orientarci nella direzione opposta a quella della chiusura e dell’esclusione. Il ministro della Giustizia Orlando ha spiegato che le nostre banlieues sono le carceri: forse sarebbe opportuno evitare la replica all’esterno di condizioni ispirate ad analoghi principi di settarismo.

            Nel mondo i musulmani sono miliardo e seicento milioni. Si tratta della seconda comunità religiosa dopo quella cristiana che supera i due miliardi di fedeli. Possiamo tenerli alla porta? Chiesa cattolica a parte, ai benefici dell’otto per mille partecipano i valdesi, le Chiese Cristiane Avventiste del settimo giorno, i pentecostali delle Assemblee di Dio in Italia, l’Unione delle Comunità Ebraiche, i Luterani, l’Unione Cristiana evangelica battista, gli ortodossi, i pentecostali della Chiesa Apostolica, i buddhisti e gli induisti; i Testimoni di Geova attendono di potervi partecipare. Possiamo, allora, pensare di difendere i valori per i quali diciamo di essere pronti a combattere il terrorismo di fatto negandoli per una malintesa necessità emergenziale? In questo Paese ci sono liberali a ogni angolo di strada (ed è una grande novità perché nella Prima Repubblica il partito con quell’insegna raccoglieva consensi da prefisso telefonico): vogliono forse abolire una delle principali libertà, quella di culto, consacrata anche dalla Costituzione? Perché, come dice Alfano, i musulmani recitano le loro preghiere in arabo? Ma l’arabo è la lingua del profeta, Muhammad, cosa che obbliga i fedeli a leggere il Corano in arabo e che induce i più tradizionalisti a negarne la traduzione in altre lingue (ma sino al Concilio Vaticano II i cattolici seguivano la messa in latino con il risultato che in tanti non sapevano nemmeno cosa dicesse il prete anche perché a quell’epoca il Paese era ancora densamente popolato di analfabeti).

            Rispetto a trent’anni fa l’Italia è demograficamente cambiata e fra altri trent’anni assomiglierà solo vagamente a quella dei nostri genitori. I flussi migratori sono destinati a diventare sempre più impetuosi, sotto la spinta delle guerre e anche dei mutamenti climatici: veramente si può pensare che basti il robusto dito di Orbàn (e dei suoi emuli) infilato nel buco della diga per evitare il rimescolamento delle acque? E poi: con quale motivazione negare a una comunità religiosa così numerosa nel mondo un diritto che, al contrario, viene riconosciuto a comunità molto meno consistenti? Se la riteniamo in assoluto pericolosa, dobbiamo dirlo con chiarezza, varare una sorta di nuova legge Scelba e vietarne l’aggregazione in forme associative. La cosa, però, farebbe sorridere. Anche perché finirebbe per schiacciare l’Islam sulle tetre figure dei fratelli El Bakraoui e di Salah Abdeslam. Una generalizzazione senza fine, senza senso e senza costrutto che ci impedirebbe di notare le differenze come quella segnalata da Cardini nel suo libro “a proposito del delitto del 7 gennaio 2015” quando “il capo militare degli Hezbollah in Libano, Hassan Nasrallah” disse: “le vignette di Charlie Hebdo offendono Allah, ma l’uccisione dei vignettisti offende ancora di più Allah”.

            Proprio la durezza di questi tempi ci obbliga a comprendere le ragioni degli altri, a non fare di tutta l’erba un fascio. Ci obbliga a uno sforzo intellettuale maggiore. Insomma, a conoscere il nostro vicino, nel bene e nel male. Cogliendo un insegnamento di Cardini: “Per quanto condizionati da un diffuso analfabetismo e da una massiccia povertà, i musulmani conoscono gli occidentali mediamente meglio di quanto questi non conoscano quelli”. E’ venuto il momento di impegnarci un po’ di più anche partendo da quelle dichiarazioni di D’Alema che possono apparire insopportabili provocazioni solo a quei “medici trasandati” che vogliono guarire i mali della società con terapie semplicistiche, perciò illusorie e, spesso, autolesionistiche..

antoniomaglie

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