L’Italia non è un paese per mamme

-di VALENTINA BOMBARDIERI-

Siamo abituati ad aspre battaglie politiche combattute a colpi di violenti attacchi.  Ma se a “combattere” sono due uomini, la lotta è ad armi pari. Se l’avversario è una donna l’attacco il più delle volte assume un tono sessista. Non si discutono le affermazioni, le decisioni politiche o amministrative, si criticano semplicemente le scelte legate alla “collocazione di genere”. Come se essere mamme screditasse la qualità del lavoro o fosse un elemento ostativo per lo svolgimento di una qualsiasi attività. È quello che sta accadendo a Roma dove Guido Bertolaso tra i mille argomenti che poteva trovare per contrastare l’improvvisa decisione di Giorgia Meloni di candidarsi a sindaco, ha scelto il peggiore invitando la leader di Fratelli d’Italia a preoccuparsi di fare la mamma. Voce dal sen fuggita? Per nulla perché dopo pochi giorni ecco irrompere sulla scena Silvio Berlusconi che con grande foga ha sostenuto l’impossibilità della Meloni a svolgere quel ruolo in quanto “biologicamente” impedita dalla gravidanza, più o meno come se si trattasse di una terribile e incurabile malattia.

Roba d’altri tempi. Una versione aggiornata e corretta del tradizionale “vai a fare la calza” o “vai a lavare i piatti”. Roba da veri signori, di quelli che organizzavano e frequentavano “cene eleganti”. Goffo il tentativo di rimediare, promettendo (da parte di Bertolaso) rose rosse. Cara Giorgia, non accettare le rose. Se fossi stato un uomo e la battaglia fosse stata di ben altra onestà intellettuale non te le avrebbe mandate neanche.  E se si chiedesse ad un uomo di fare il padre e non il sindaco?

Una battuta infelice, un tentativo di ghettizzare le donne per la loro capacità procreativa. Un ritorno al passato. In un periodo in cui si è intenti a difendere la famiglia, di qualsiasi colore essa sia, ci si dimentica della tutela delle donne e del loro diritto di essere madri e lavoratrici, si cancellano anni di conquiste civili e sindacali, di riforme del diritto di famiglia.

Perché in Italia ad ogni colloquio di lavoro una donna deve sentirsi chiedere se ha figli o ha intenzione di averne? Come se si stesse parlando della patente di guida o di una disabilità motoria.

Per non parlare poi della pratica delle dimissioni in bianco. Una firma su una lettera senza data da utilizzare al momento opportuno, cioè in caso di gravidanza sopravvenuta e indesiderata (del datore di lavoro, ovviamente). Così come non mancano imprenditori che preferiscono evitare “l’alea” semplicemente chiudendo a prescindere le porte in faccia alle lavoratrici di sesso femminile. Sembra che dal 12 marzo per dimettersi dal posto di lavoro si dovrà necessariamente attivare una procedura telematica utilizzando i moduli resi disponibili dal Ministero del Lavoro. Un piccolo passo verso il progresso.

Secondo i dati Istat una donna su quattro perde il lavoro entro due anni dalla nascita del figlio. Allora il dilemma diventa esistenziale. Carriera o maternità? Questo interrogativo finisce per apparire irrisolvibile, tanto più in un Paese come l’Italia in cui, di base, le donne già partono economicamente, a parità di impiego, da un gradino più basso rispetto ai loro colleghi maschi. E in cui lo Stato è storicamente disinteressato a fornire in misura e qualità adeguata quei servizi che consentono di coniugare lavoro e maternità, obblighi familiari e impegni professionali.

Quando si parla di donne e lavoro, i grandi temi sono tre. Il primo: entrare nel mondo del lavoro; il secondo: «conciliarlo» con la famiglia; il terzo: fare carriera.

Ma in Italia le contraddizioni sono sempre in agguato: in tanti (soprattutto a destra, lo abbiamo visto con l’ultimo Family Day) esaltano la famiglia dimenticando, subito dopo lo scioglimento delle manifestazioni, che essa trova nel ruolo della donna (a cominciare da quello procreativo) la premessa fondamentale. Si sparge ipocritamente incenso e ci si rifiuta di riconoscere la dignità umana. È una questione di rispetto dei diritti delle donne e della loro libertà di scegliere. Fa sorridere sentir tuonare Berlusconi: “E’ chiaro a tutti che una mamma non può dedicarsi ad un lavoro così terribile come fare il sindaco di Roma”. Parliamo sempre di colui che nel 2008 suggerì a una ragazza un semplice modo per risolvere i problemi legati alla mancanza di un lavoro stabile: sposare un milionario, magari suo figlio Piersilvio. “Credo – aggiunse l’ex premier – che con il suo sorriso se lo possa certamente permettere”. Come dimenticare poi i festini di Arcore.

I pregiudizi sulle donne sopravvivono a dispetto del tempo che passa, della cultura che si evolve e dei costumi che progrediscono. Su quelle in politica, poi, ancora di più. Risulta così difficile immaginare che ci siano donne semplicemente brave? La mentalità italiana ci porta invece a pensare che siano accettate (soprattutto in politica) perché raccomandate o perché spinte verso lo scranno parlamentare dall’accettazione di poco commendevoli compromessi.

Forse per una volta la soluzione di questa infinita diatriba la twitta Giachetti: “Se questi uomini così bravi a dare consigli alle donne cambiassero qualche pannolino in più, questo sarebbe un Paese migliore”.

 

 

 

Valentina Bombardieri

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