Debito pubblico e deflazione, indietro tutta

 

-di SANDRO ROAZZI-

        Non è un gran giorno per l’economia italiana. Il debito pubblico non fa record a gennaio 2016 ma sale pur sempre ad un picco indesiderabile di 2191,6 miliardi di euro contro i 2167 del 2015. E dall’Istat ecco nuovi dati che aggiungono inquietudini con la conferma che l’Italia è in deflazione con tutti e due i piedi dopo 9 mesi con un calo dei prezzi di quasi tutte le tipologie di beni di consumo. Il debito sale,  in particolare per l’incremento delle disponibilità liquide del Tesoro presso il conto corrente che ha presso Bankitalia. E’ già avvenuto e lo si spiega di solito con la considerazione che in tempi di rendimenti bassissimi può essere utile per il Tesoro… fare cassa parcheggiando risorse anche  in previsione di eventuali rialzi dei tassi, che per però ora non sono all’orizzonte. Ma resta una montagna da scalare.

        Diverso è il discorso per l’inflazione che segna uno -0,3% su base annua attestando quella attesa per quest’anno (se nulla muterà però) ad un lugubre -0,6%. Il segnale meno tranquillizzante viene da un dato positivo per giunta e riguarda l’inflazione di fondo che misura i prezzi escludendo alimentari non lavorati ed energetici, una misura della reale  dinamica inflazionistica. Segna a febbraio un +0,5% ma si indebolisce rispetto allo 0,8% di gennaio. Non è un buon segno. La spinta ai consumi si mostra debole  anche se febbraio è ancora un mese di saldi e le promozioni per vendere si sprecano.

        Ma è l’intreccio fra debito pubblico alto e deflazione che dovrebbe far preoccupare. Se il Pil non rimonta e ricomincia a correre riducendo in prima battuta il rapporto (nel 2015 al 132,8%) con il debito,  non solo l’Europa ci starà ancora con il fiato sul collo ma soprattutto come si potranno trovare e indirizzare  risorse verso gli investimenti e le riduzioni di tasse? Come si potranno evitare gli aumenti dell’Iva, per ora bloccati ma non scongiurati del tutto?

        Prendiamo due casi concreti di cui si discute in questi giorni: l’intenzione di detassare gli aumenti di produttività e il welfare aziendale, sia pure parzialmente assieme all’ipotesi di detassare bond emessi dalle aziende per favorirne crescita ed investimenti; su un altro versante  c’è la insistenza  del Presidente dell’Inps e non solo, ad agire per restituire flessibilità fra uscita dal lavoro e pensione. Sono vie che costano molto. Previsioni è difficile farne ma a quanto pare le azioni della flessibilità sembrano scendere di parecchio. Forse anche perché con le elezioni in grandi città alle porte non sarebbe “giudizioso” aprire un confronto sulle pensioni? Domanda che sa di retorica. Meglio detassare. Soldi freschi in circolazione.

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

Rispondi