-di ANTONIO MAGLIE-
Sigmar Gabriel voleva testare nelle elezioni in Renania-Palatinato, Baden-Wuerttenberg e Sachsen-Anhalt le sue ambizioni. I risultati lo hanno disilluso: la Cancelleria berlinese è molto, molto lontana, dispersa in un orizzonte fatto di scelte poco appropriate che hanno confuso gli elettori schiacciando l’immagine sua e del suo partito su quella di Angela Merkel (anche lei sonoramente sconfitta). La Spd è stata quasi travolta dal preoccupante ciclone della destra dura e xenofoba di Frauke Petry, reggendo bene solo il Renania-Palatinato grazie alla popolarità della governatrice Malu Dreyer. La socialdemocrazia in Europa e nel mondo non ha smarrito le sue ragioni ma ha perduto la sua spinta dinamica: il pigro adeguamento alla narrazione liberista, ha stinto il suo profilo di “forza alternativa” e se tutti sono uguali, allora perché l’elettore dovrebbe compiere una scelta di vita schierandosi da una parte che per definizione è scomoda? In una sfida di calcio, il terreno di gioco è diviso in due metà: se tutti i giocatori sono nella stessa metà, allora vuol dire che una squadra attacca in massa e l’altra pensa solo a difendersi. Ed è evidente che in questi anni non sono state certo le forze della socialdemocrazia ad andare all’offensiva ma semmai facendo un po’ di vecchio “catenaccio” hanno provato a mimetizzarsi con la compagine che attaccava cercando di ingentilire gli schemi di gioco rendendoli più educati.
Significativamente mentre Gabriel si preparava al deludente test elettorale, il gotha della socialdemocrazia Europea si riuniva a Parigi reclamando a gran voce la fine delle politiche di austerità che sarebbe meglio definirle depressive. Una coincidenza che non fa altro che sottolineare gli errori sin qui commessi non solo da Gabriel ma anche da Hollande, da Renzi e da tutti gli altri che, semmai provenendo da culture molto lontane da quella socialdemocratica (il nostro presidente del consiglio, ad esempio), scoprono ora, con grande ritardo, che certe ricette poco o nulla hanno a che vedere con i principi di quel messaggio sacrificato sull’altare di una corsa elettorale in cui alla fine non si capiva bene chi stava con chi.
Fa un po’ di tenerezza Matteo Orfini quando alla domestica scuola politica racconta agli studenti, addirittura spaventato, la percezione che all’estero si ha del Pd: quasi di un nuovo pericolosissimo partito bolscevico (nel frattempo, semmai, dietro le quinte si avverte l’eco del coro “o biancofiore simbolo d’amore”, una scena da film di Joel ed Ethan Coen). E, allora, forse conviene rileggere quel che nel 1999 scriveva Norberto Bobbio a proposito della socialdemocrazia, cioè di “quel socialismo liberale, che ha sempre combattuto e continuerà a combattere su due fronti: il liberalismo asociale e il socialismo illiberale. Il socialismo illiberale è stato sconfitto. Il liberalismo asociale è il nuovo fronte contro il quale mi auguro continui a condurre la propria opposizione, per non perdere, come si è detto, l’anima, la sinistra italiana”. Analisi attualissima che potrebbe essere precisata aggiungendo nel finale un altro aggettivo al sostantivo “sinistra”: europea.
La crisi è stata per la socialdemocrazia una grande occasione perduta. Avrebbe potuto e dovuto costruire una visione alternativa, definire vie d’uscita diverse, in antitesi rispetto a quelle forze liberiste che si sono appoggiate ai partiti di centro e di destra. Avrebbe potuto e dovuto puntare a rafforzare, modernizzandoli, i concetti che le hanno consentito dalla fine degli anni Trenta (in Svezia) alla metà degli anni Settanta di “domare” gli “istinti animali” del capitalismo. Invece, ha preferito cavalcarli, creare Grandi Coalizioni, accettare supinamente i diktat dei tecnocrati europei e le pratiche dei governi dei tecnici guidati da veri e propri fiduciari di quei circoli finanziari che si sono arricchiti negli anni della crisi mettendo in ginocchio buona parte della popolazione mondiale. Ha adeguato persino il suo vocabolario accettando che venissero definite “riforme” quelle che erano solo controriforme poiché puntavano a smantellare quel che resta del Welfare.
La socialdemocrazia, al contrario di quel che diceva Bobbio, ha accettato il paradigma del “liberalismo asociale” nella convinzione che in questa maniera avrebbe guadagnato consensi al centro: non solo non li ha guadagnati ma contemporaneamente li ha perduti a sinistra (come dimostrano le vicende elettorali di Podemos e Syriza) e trasformato nell’unica (apparentemente) possibile alternativa quei messaggi che, pescando nella pancia degli elettori, spingono la nostra società sempre più pericolosamente a destra.
E così mentre Gabriel perdeva in Germania, Hollande e Renzi rilanciavano con grandissimo ritardo un messaggio che appena un anno fa si son ben guardati dall’articolare con convinzione, nonostante i segnali fossero tutti a portata di mano. Lì, in quella vecchia, storica, gloriosa trincea del socialismo liberale che combatte due nemici è rimasto solo il messaggio inascoltato del caro Professor Bobbio: il socialismo illiberale ha perso, ma l’esercito che avrebbe dovuto sconfiggere il liberalismo asociale è in rotta per colpa di generali smemorati, incostanti e incoerenti.
Argomenti politico-sociali e di visione economica ben detti e indicati ai dirigenti dei Partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti europei. Ovviamente rivolti ,in primo luogo, a quelli italiani che si crogiolano in schermaglie per aquisire autoreferenzialità dei vari gruppi dirigenti , mentre il Paese corre a destra, scegliendo i suoi proclami ,i suoi populismoi e i suoi programmi gridati dai vari Grillo- Salvini- Meloni- Alfano- Verdini e via cantando, mettendo in crisi profonda il popolo della sinistra politica e democratica..