-di ANTONIO MAGLIE-
Il simpatico Matteo Orfini ha sostenuto che l’affluenza alle urne nelle ultime primarie romane si è dimezzata perché a votare non sono andati né i rom né i capi-bastone. Chi scrive non vive in un campo nomadi e non è nemmeno un capo-bastone eppure la volta scorsa si recò ai gazebo mentre questa volta ha preferito risparmiarsi la fatica non avendo trovato nell’ampio bouquet di candidati uno che fosse in qualche misura assimilabile al bagaglio di ideali coltivati negli ultimi cinquant’anni. Ma le assenze che hanno inorgoglito il barbuto Matteo sono state, seppur parzialmente, colmate da impalpabili presenze: oltre duemila “fantasmi” che nel segreto dell’urna romana hanno votato scheda bianca. A parte il fatto che si fatica un po’ a capire la “ratio” di chi partecipa alle primarie e poi evita di esprimere una preferenza, quest’ultimo scivolone che non cambia nulla nella classifica finale ma inficia ulteriormente il significato di questa “moderna” forma di partecipazione, obbliga il Pd a riflettere sullo strumento, che utile e positivo nella forma rischia di apparire difettoso e in larga misura ingannevole nella sua concreta attuazione.
Per carità, le perorazioni di Renato Brunetta sui limiti del “sistema” appaiono un po’ ridicole venendo dal pulpito di un esponente politico espressione del più antico partito “proprietario” di questa seconda Repubblica, partito in cui la partecipazione è sempre stata un atto di fede nel capo che metteva i quattrini.Al pari di quelle del pentastellato Roberto Fico che invita il Pd a una pausa di riflessione su Marte avendo, a sua volta, dimenticato le vicende di Quarto e il fatto di aderire a un movimento in cui il dissenso (per regolamenti ufficiali) viene punito con multe da 150 mila euro. Ma le immagini di Napoli e le rivelazioni relative al “doping elettorale” praticato nella Capitale per “irrobustire” l’affluenza un po’ come si fa con gli atleti riempiendoli di nandrolone, obbligano tutti noi a interrogarci sulle forme della politica che appare sempre meno passione e vocazione e sempre di più strumento per fare carriera, per ottenere visibilità e, perché no, per far soldi.
Questa mutazione è stata in qualche misura assecondata dalla “filosofia della velocità” che poi si trasforma in “filosofia della superficialità”. E, allora, tutto si risolve con i casting di Berlusconi, i “clic” del duo Casaleggio-Grillo (non in ordine di apparizione o alfabetico, ma di capacità di condizionamento e controllo del partito) e il rapido passaggio a un gazebo. Finisce tutto lì: nessun confronto con e tra la gente (al massimo due chiacchiere in fila), nessuno sforzo di riflessione individuale ed elaborazione collettiva, nessun sentimento condiviso all’interno di una comunità, nessun ideale elaborato sino a renderlo il collante di una moltitudine. Tutte queste cose comportano tempo, pazienza, continuità di impegno, luoghi in cui “annusarsi”, conoscersi e riconoscersi. Ma non c’è tempo per tutto questo. E allora diventano accettabili le immagini di chi compra voti a un euro (roba da offerte promozionali al supermercato) e di chi monta come la panna i dati dell’affluenza ai gazebo. E’ vero che viviamo in sistemi di democrazia delegata, ma stiamo scivolando sempre di più verso la delega in bianco con straordinaria soddisfazione di leader che non vogliono essere troppo condizionati, controllati, valutati. Flaiano sosteneva che sulla bandiera di ogni italiano campeggia il motto “tengo famiglia”; oggi, sulle bandiere di tutti i leader campeggia un altro motto, riconoscibilissimo nella sua genesi: “Ghe pensi mi”. Molti tra di noi avrebbero volentieri evitato di morire democristiani; quasi tutti i protagonisti della vicenda politica, invece, ambiscono a nascere “figli” di Berlusconi.
Ma la democrazia così deperisce: senza partecipazione effettiva, senza passione, senza sentimento, anche attraverso strumenti come le primarie che nati con intenti lodevoli, sono stati alla fine utilizzati per il perseguimento di obiettivi poco commendevoli. Perché è evidente che laddove le mafie sono più organizzate e strutturate, il rischio dell’inquinamento è alto. E salendo verso il nord, come ha dimostrato la vicenda ligure, l’inquinamento cala ma non scompare completamente. La politica è stare insieme, battersi insieme, pensare insieme, anche alzando la voce, anche litigando. Immaginare che si possa partecipare dentro un acquario non è un’illusione, è una sciocchezza.