-di SANDRO ROAZZI-
Le previsioni di oggi dell’Istat sul primo trimestre del 2016 segnalano crescita moderata. Un’attesa “lievemente positiva pari al +0,1%” con una crescita acquisita per l’anno in corso (ovvero senza variazioni nella realtà economica del Paese) dello 0,4%.
I consumi interni fanno quel che possono, quelli pubblici ansimano, la domanda estera netta appare negativa anche a causa delle cattive notizie che giungono da oriente (Giappone e soprattutto Cina). Ma sono soprattutto gli investimenti a latitare e questo capitolo chiama in causa necessariamente Governo e grandi imprese. Ed in un Paese nel quale sempre secondo una indagine Istat le imprese temono assai di più le incertezze sul futuro che ad esempio il malmesso sistema che governa il mercato del lavoro ci si rende conto del valore anche…psicologico che ha la stasi degli investimenti in una economia che ha un grande bisogno di andare oltre una ripresina.
Non è un caso inoltre che i segnali positivi nel campo degli investimenti arrivino dall’edilizia dopo la lunga e pesante stagione di contrazione degli ordini, delle imprese e dei posti di lavoro, oltre a quelli che provengono dal settore dei mezzi di trasporto che vivono una fase espansiva. Tutto il resto invece stenta o boccheggia.
I dati congiunturali insomma confermano l’indebolimento della vivacità della ripresa se non ci saranno interventi decisi per favorire una espansione delle attività e per sfuggire alla palude della deflazione. La scossa non c’è ancora e la sensazione di rimanere un Paese economicamente in bilico resta anche se alcuni dati incoraggiano la speranza verso giorni migliori come quelli che provengono dall’occupazione, anche se il nodo di quella giovanile è ben lungi dall’essere avviato a soluzione. Non ci siamo invece sul piano dei consumi anche se qualche segnale di risveglio c’è: l’inflazione resta relegata ai minimi termini e se salirà sarà forse per merito del petrolio che rialza la testa se verrà ridotta la produzione dei Paesi produttori e delle tariffe (costi in più, però, per le famiglie).
Questo andamento di basso profilo come si coniugherà con la manovra economica che occuperà il confronto interno e con la Ue dei prossimi mesi? Il governo con il ministro Padoan si mostra fiducioso su entrambi i fronti. Con Bruxelles si sta ragionando, dice, e nessuno ci sta mettendo i bastoni fra le ruote, sull’interno l’intenzione è quella di procedere nel favorire il lavoro. Bruxelles aspetta in realtà le mosse italiane sul deficit e sulle misure che attestino la volontà reale di far scendere l’enorme debito pubblico. La congiuntura internazionale del resto pesa anche sull’intera economia europea e se le logiche rigide di austerità sono state messe da parte, il rigore sui conti potrebbe rispuntare alla luce di un andamento dell’economia globale al rallentatore. E poi c’è la questione aperta dei paesi mediterranei. La Spagna naviga in tormentate acque politiche che impediscono la formazione di un Governo stabile, la Grecia si barcamena ma è chiamata ad altre misure severe per rimborsare i prestiti internazionali senza i quali gli aiuti si fermeranno e sarà un bel problema pagare stipendi e pensioni. Ed anche in Italia il tasso di coesione politica non pare molto alto, pur essendo salda la compagine governativa.
Palazzo Chigi ha alcune frecce al suo arco: la ripresa comunque ha determinato un aumento delle entrate fiscali, c’è la carta di nuove privatizzazioni e quella di nuove tappe possibili di spending review come la riduzione drastica del pullulare di società pubbliche sparse nel territorio.
Basterà se il cavallo dell’economia reale non riesce a bere come sarebbe essenziale? Molto si gioca ancora una volta sul livello di fiducia che esiste nel Paese e di ruoli che sapranno giocare i vari protagonisti. Un fatto è certo: un’economia lumaca non è una buona assicurazione per un futuro avvolto ancora nelle nebbie internazionali.
Viene sottolineato, non spesso per la verità, che dal 2008 abbiamo perso il 20% della nostra capacità produttiva, ovvero, dal 5 posto ad oltre il 20. Diventa naturale storcere il naso e porsi la domanda : dobbiamo solo stimolare la domanda, o viceversa, riscontrare che il sistema polvere, mi riferisco alle nostre imprese e alle autonomie locali, possano favorire il nostro sviluppo economico? Il sottofondo musicale del costo del lavoro possiamo soppesarlo, solo, sul costo delle prestazioni lavorative, senza spendere una( scusate se la tiro in ballo) lira e un pochino di saliva, sul vuoto infrastrutturale?