Migranti, Gran Bazar Bruxelles  

 -di ANTONIO MAGLIE-

            Benvenuti nel Gran Bazar Bruxelles. Con qualche milione di euro in più vi fermiamo qualche migliaio di profughi al confine. Se poi accelerate anche l’ingresso nell’Unione Europea di un paese che calpesta i diritti umani, che si fa beffe di una delle libertà fondamentali per l’Occidente, quella di stampa che consente la circolazione dei pensieri, allora vi diamo anche in omaggio un paio di tappeti e un caffè alla turca così nei fondi leggerete il vostro futuro. Siamo ormai al crepuscolo dell’Europa che paga la sua incapacità a essere soggetto politico essendo al suo interno dilaniata da egoismi, diffidenze, anche ostilità, con l’umiliazione di una trattativa che una realtà sovranazionale che crede nei suoi principi fondamentali (e fondanti), non avrebbe mai dovuto accettare. E’ la dichiarazione di fallimento della leadership della signora Angela Merkel, del signor Wolfgang Schaeuble e della loro potente Germania che è così poco “Uber alles in der Welt” (cioè nel mondo: sono sempre stati dotati di eccezionale autostima) da essere costretta a inchinarsi davanti a un signore, Recep Tayyip Erdogan, che nel suo Paese sta facendo a brandelli la democrazia dopo aver tenuto un comportamento ambiguo nella guerra contro l’Isis, utilizzato i profughi come arma di pressione, trasformato il conflitto contro i “tagliagole” nell’occasione per massacrare un po’ di curdi (pratica peraltro già perfezionata in tempi lontani nei confronti degli armeni) che notoriamente non lo amano e vorrebbero tanto poter contare su uno stato proprio lontano anni luce da Ankara.

            Il Gran Bazar Bruxelles è solo un ritrovo di “mercanti” dove più o meno tutto è in vendita, a cominciare dal bagaglio ideale che induceva gli Altiero Spinelli, gli Eugenio Colorni e gli Ernesto Rossi a immaginare un continente senza frontiere, senza odi, pacificato nel segno della partecipazione e della reciproca comprensione, persino unificato in una impossibile lingua comune, impossibile anche perché non si può avere un vocabolario condiviso nel momento in cui mancano i valori condivisi. Gli unici valori condivisi sono quelli monetari e con l’aiuto di una lingua “tintinnante” si può parlare con tutti, anche con chi irrompe armato nelle sedi dei giornali, confisca la proprietà editoriale, cambia giornalisti più o meno come tutti noi ci cambiamo la camicia al mattino, li sbatte in galera, modifica la linea politica e manda in edicola un giornale così riveduto e corretto da essere uguale a quello di qualche giorno prima solo per il nome che esibisce in testata essendo per tutto il resto diverso nel tono e nelle posizioni.

            Si dice che la “paura” (quella degli attentanti, quella di essere invasi dai profughi) abbia allontanato gli europei dall’Europa. Appena tre anni fa, il 46 per cento degli italiani considerava Schengen la più grande conquista dell’integrazione continentale; adesso solo il tredici mostra fiducia in quegli accordi. I francesi ci credono ancor meno: appena il dieci per cento resta fiducioso, il resto vuole la chiusura delle frontiere non essendosi evidentemente accorto che i terroristi di Charlie Hebdo e del Bataclan non sono arrivati a bordo dei barconi ma vivono da anni, da molti anni, esibendo regolare passaporto, in quelle Banlieue dove la disperazione è spesso alta e l’integrazione altrettanto spesso bassa.

            Ma la paura è solo una conseguenza. La causa vera è la timidezza dei governanti, le promesse non mantenute, gli interessi dei finanzieri e dei banchieri che hanno rubato la scena al confronto costruttivo tra i leader, il neo-liberismo trasformato in sinonimo di liberalismo, l’aver sostituito le ragioni della solidarietà con quelle dell’interesse.  È in virtù di questa sostituzione che oggi il primo ministro turco, Ahmet Davutoglu, può dire: “L’Europa ha bisogno di noi così come noi abbiamo bisogno dell’Europa”. Perché, dal suo punto di vista, lo scambio è non solo accettabile ma obbligato ed equo: noi portiamo la dote e voi vi concedete in matrimonio. Un mercanteggiamento che sarebbe stato impossibile se una vera politica comune avesse consentito di ragionare su un altro piano: un’Europa seriamente governata e coerente non avrebbe avuto bisogno di stringere rapporti con un regime che appare così lontano da quelli normalmente in uso (seppur con qualche cedimento) all’interno dei confini di Schengen (almeno sino a quando reggeranno) da non poter essere ammesso nel club nemmeno con una specialissima dispensa divina. Ma la realpolitik è come la pecunia: non olet. E poi qualche buon deodorante lo si trova anche nel Gran Bazar dove pure gli umori sono piuttosto pesanti.

antoniomaglie

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