-di GIANCARLO MERONI-
Pare che sia di moda intonare canti funebri per la morte imminente della socialdemocrazia europea. Si disputa sulle sconfitte elettorali dovute alla mancanza di strategie alternative a quelle dei partiti conservatori, centrate sull’austerità; sul conseguente affermarsi di grandi e piccole coalizioni con i partiti socialisti e democratici in posizioni subordinate; sulla perdita di identità politica e culturale a vantaggio dei movimenti populisti.
E‘ paradossale che si parli di crisi della socialdemocrazia mentre il paradigma socialdemocratico, con tutte le sue varianti, si impone in modo inequivocabile come il modello sociale e politico storicamente vincente nella maggior parte dei paesi europei: da questo postulato si deve necessariamente partire per qualsiasi revisione critica. Lo Stato sociale, il cuore pulsante del modello socialdemocratico (comunque lo si chiami), per esempio, è certamente sottoposto alla sfida della globalizzazione, della rivoluzione della tecnologia della informazione e della comunicazione, e delle nuove scoperte scientifiche e tecnologiche, ma è solo a partire dai suoi principi e dalle sue esperienze concrete a livello nazionale e internazionale che lo si può riformare. Pensiamo alla flexsecurity, alla personalizzazione delle prestazioni assistenziali, sanitarie, previdenziali, alle politiche attive del lavoro, al decentramento della contrattazione. L’intento è quello di sottoporre a controllo il rischio congenito alla attuale fase della globalizzazione che richiede modalità nuove di intervento dello Stato e delle istituzioni pubbliche nel loro ruolo regolatore, di sostegno e di indirizzo delle politiche dei governi per proseguire gli obiettivi sociali, culturali ed economici emergenti nel processo di crescita e sviluppo nazionale ed europeo. E’ vero: la profondità e l’imprevedibilità di una crisi senza precedenti che mette in discussione certezze, identità, rapporti di potere, relazioni consolidate ha colto impreparati i gruppi dirigenti e le élite politiche del socialismo democratico e ne ha fatto emergere le debolezze psicologiche e culturali, gli egoismi nazionali e sopratutto le chiusure corporative a difesa dei privilegi acquisiti che hanno una rappresentazione emblematica nella tragedia dei profughi e degli emigranti.
Il ripiegamento politico della grande tradizione socialdemocratica e la bancarotta dell‘ideologia neoliberista e conservatrice hanno aperto un vuoto politico in cui si sono trincerati i movimenti e i partiti populisti demagogici e si è dilatato l’astensionismo di massa. Tuttavia questi movimenti, oltre ad essere comunque una minoranza, non sono in grado di esprimere né una strategia alternativa credibile al modello socialdemocratico, né di conciliare le loro istanze radicali e demagogiche con gli obiettivi e gli interessi delle forze conservatrici e neo-liberiste. D’altra parte i partiti e i movimenti della sinistra radicale che avrebbero dovuto essere l’ala sociale dei governi di sinistra moderata ne sono stati i sistematici affossatori; in conseguenza l’estrema sinistra, con l’eccezione (temporanea) di Tsipras e il fenomeno passeggero di Corbyn, è praticamente scomparsa dallo scenario politico.La socialdemocrazia europea, non solo non è morta, ma è l’unico movimento politico dotato di un patrimonio politico-culturale storicamente consolidato da rapporti sociali radicati nella struttura sociale ed economica dei paesi europei. Certo, il modello socialdemocratico è sottoposto a una forte spinta di rinnovamento che deve saper cogliere ed interpretare mettendosi discussione anche radicalmente, ma a differenza di altre visioni politiche parte da un’esperienza storicamente vincente.