Voti segreti e “imboscate”

-di ANTONIO MAGLIE-

L’intervento a piedi uniti del Cardinale Bagnasco (se lo avesse compiuto su un campo di calcio, l’arbitro lo avrebbe immediatamente espulso) sul voto segreto, riapre una antica discussione sull’uso che di questa modalità di espressione del consenso o del dissenso è stata fatta nel Parlamento italiano. Se vogliamo, sul suo rapporto con il concetto di responsabilità e di coerenza delle posizioni pubblicamente assunte. In un sistema democratico, la manifestazione del pensiero è libera per definizione. Anzi, per certificazione costituzionale: “Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con le parole, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (articolo 21). Ma se la libertà di espressione è così robustamente garantita, perché mai un deputato che ancor più di un cittadino gode di assoluta libertà di movimento (tanto è vero che per le opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni, non può essere perseguito; tanto è vero che proprio per garantire la libera manifestazione delle proprie posizioni, da Montesquieu in poi i rappresentanti del popolo sono stati affrancati da quei vincoli di mandato che potrebbero determinare una loro subordinazione a padrini, padrone, cricche e consorterie varie) nelle aule parlamentari, per esprimere non solo la propria posizione ma anche il proprio più profondo sentire su una vicenda oggettivamente complessa come quella della stepchild adoption, dovrebbe ripararsi dietro il paravento del voto segreto?

Diciamolo chiaramente: in Italia il voto segreto non ha mai avuto nulla a che spartire con la coscienza e meno ancora con la libertà. E’ stato sempre uno strumento meschino per “azzoppare” leggi, per prendersi qualche piccola vendetta o rivincita, per trasformare una maggioranza in minoranza su un provvedimento di particolare rilevanza politica così da obbligare il governo che lo sosteneva a dimettersi. Non è mai stato uno strumento di confronto politico-culturale o di sensibilizzazione etica; più semplicemente ha avuto la funzione che assolve un coltello tra le mani di un ladro che avvolto dalle ombre della notte attende al varco la sua vittima. Non un momento di alta affermazione della democrazia, ma il passaggio più meschino nella pratica delle imboscate politiche. Abbiamo avuto governi che avendo posto su una legge la fiducia, si sono visti il provvedimento respinto e la fiducia confermata. Il cardinale Bagnasco, che non è certo un ragazzino, tutto questo lo sa benissimo come conosce benissimo le pratiche estremamente in voga di tempi della Democrazia Cristiana quando le crisi di governo non nascevano quasi mai per una volontà dichiarata, come dire, per un rigurgito di coscienza, ma per un sostegno sfilato sottobanco. Una situazione che andava bene a tutti e quando qualcuno proponeva di limitare il ricorso ai voti segreti, immediatamente salivano in cattedra i difensori della democrazia un tanto al chilo, di maggioranza (sempre meglio avere tra le mani un’arma di ricatto) e di opposizione (sempre meglio strumentalizzare la stessa arma di chi la usa per il ricatto per conquistare una parziale, momentanea vittoria senza accalorarsi troppo).

Il voto segreto, per come è stato usato nel Parlamento italiano, non ha grandissima credibilità e, ovviamente, ne ha ancora meno chi l’ha utilizzato per fini non proprio istituzionali. Perciò non si affanni troppo il portavoce della Cei, Ivan Matteis che ha provato a smorzare le polemiche che hanno fatto seguito alle parole del suo cardinale: “È stato solo un appello alla libertà di coscienza”. Chi la coscienza ce l’ha, da qualunque parte sia collocato, è in grado di farla parlare con un voto palese. E non fa una bellissima figura una Chiesa che per portare a casa un risultato fa affidamento sui difetti peggiori della politica italiana. L’augurio è che più che uno “smarcamento”, le parole di Monsignor Nunzio Galantino rappresentino in buona misura una promessa: “Per rispetto del Parlamento e delle istituzioni preferiscono non parlare”. Confidiamo che in tanti tra porporati e prelati si tacciano. L’Italia non ha bisogno né di maestrini, né di tutori né di perpetue.

antoniomaglie

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