La disuguaglianza nuoce alla crescita

disuguaglianza

 
-ALFONSO SIANO-

Cosa viene prima, la spinta verso la crescita economica o la lotta alla disuguaglianza? A risolvere l’annosa questione tra neoliberisti e socialdemocratici, ci pensano gli economisti del Fondo Monetario Internazionale secondo cui i due fenomeni sono strettamente correlati. In particolare, frenando gli investimenti in sanità ed educazione e minando il consenso sociale necessario a reagire agli shock economici, la disuguaglianza tende a ridurre il ritmo e la portata della crescita.

In effetti il tema della disuguaglianza sta diventando sempre più importante. Sostengono gli studiosi del Fondo Monetario che “negli Stati Uniti, la quota del reddito complessivo catturata dal 10% più ricco della popolazione è passata da circa il 30% nel 1980 al 48% del 2012, mentre la quota di reddito del 1% più ricco è incrementata dal 8% del 1980 al 19% del 2012”. In altre parole, l’1% più abbiente conquista circa un quinto del reddito complessivo, mentre il resto della popolazione si impoverisce. E le cose non vanno meglio se si guarda alla ricchezza netta, ossia alla somma di attività finanziarie e reali al netto del debito: “in Svizzera e negli Stati Uniti, i due Paesi in cui la ricchezza è più disomogenea, il top l% detiene da solo più di un terzo della ricchezza complessiva delle famiglie” evidenziano gli economisti del Fondo. Va detto che le cose non vanno meglio a livello mondiale, visto che l’1% più ricco della popolazione possiede quasi la metà della ricchezza globale e la ricchezza delle 85 persone più ricche al mondo equivale a quella della metà meno abbiente della popolazione mondiale, ossia tre miliardi e mezzo di persone.

In Italia, la ricchezza netta delle famiglie è aumentata più che altrove, anche grazie alla crescita dei prezzi delle abitazioni: “tra il 1970 ed il 2010 si è osservata una crescita del 180% del rapporto tra ricchezza netta delle famiglie e reddito nazionale” confermano gli economisti del FMI. Tuttavia, all’aumento della ricchezza, non ha fatto da contrappeso una migliore distribuzione della stessa. Al contrario, anche da noi la disuguaglianza è aumentata ed oggi in Italia il 10% più ricco detiene circa la metà della ricchezza. La concentrazione della ricchezza e la polarizzazione dei redditi comportano come conseguenza una ridotta mobilità sociale, ovvero minori chance di progredire nella scala sociale. Non è un caso se in Italia, ma anche negli USA e nel Regno Unito, dove la distribuzione dei redditi disponibili è alquanto diseguale, il reddito dei figli tende a riflettere quello dei padri. Mentre in Paesi più egualitari, come quelli del Nord Europa, vi è una maggiore mobilità ed il reddito dei figli più frequentemente differisce da quello dei padri.

Per lungo tempo ci si è anche interrogati se abbia un senso intervenire con politiche redistributive per limitare la disuguaglianza o, invece, se così facendo non si rischi di peggiorare la situazione. Gli economisti del FMI hanno analizzato anche questo aspetto e sono arrivati a tre interessanti conclusioni: società più diseguali tendono a redistribuire di più; per un dato un livello di redistribuzione, più una società è uguale e più cresce; l’impatto delle politiche di redistribuzione sulla crescita è tendenzialmente benigno. Quindi “non dobbiamo assumere che vi sia un grande trade-off tra redistribuzione e crescita”, concludono gli esperti del Fondo Monetario.

Ma allora quali sono le politiche indicate dal FMI per ridurre la disuguaglianza, senza nuocere alla crescita? Di fatto non esiste una best practice internazionale. Le politiche cambiano nel tempo e nello spazio; il principio chiave è che “le politiche fiscali e di spesa devono essere concepite in modo da bilanciare gli obiettivi di redistribuzione e quelli di efficienza economica”. Si pensi ad esempio ad un sussidio di disoccupazione che da un lato alimenta i consumi ma dall’altro disincentiva la ricerca del lavoro, due effetti contrastanti sull’andamento economico. Ecco il sussidio deve essere tarato in modo tale che il suo beneficio per la collettività sia superiore al costo. Eppure secondo gli economisti del FMI, l’esperienza passata suggerisce alcune politiche che hanno avuto successo: investimento in sanità ed educazione, applicazione di una tassazione progressiva, aumento delle tasse sui patrimoni, riduzione delle esenzioni regressive, innalzamento dell’età pensionabile, benefici sociali solo per i più poveri.

All’analisi del FMI si potrebbe aggiungere che, per ridurre le diseguaglianze, occorre anche colpire l’evasione e l’elusione fiscale, anche quella delle grandi multinazionali, che tendono ad ottimizzare le strutture societarie, distribuendole su vari Paesi, in modo da ridurre il carico fiscale complessivo. Ed infine, che l’aumento delle disuguaglianze porta da un lato ad un aumento delle tensioni sociali ad opera dei più poveri ma, dall’altro lato, ad un tentativo di riduzione delle libertà democratiche da parte di chi è più ricco. Una bomba che, se non disinnescata in tempo, rischia di esplodere.

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