Sabato mattina è stato proiettato all’Auditorium Parco della Musica un interessante film sulla figura di Luigi Petroselli, regista Andrea Rusich. Interessante perché, se non altro, racconta la figura, umana prima che politica, di un grande sindaco vissuto troppo poco purtroppo, ma rimasto nella memoria collettiva come un mito. Giustamente. L’ho conosciuto bene, l’ho seguito, frequentato e appoggiato, anche da direttore del “Messaggero”, subendo qualche rimprovero. Quando venne eletto nel 1981 con una preferenziale altissima (nel ’79 era subentrato ad uno stanchissimo, sfinito Giulio Carlo Argan, come la legge del tempo, saggiamente, consentiva) scrissi un fondo dal titolo “A Roma è successo qualcosa” che ancora qualcuno – per esempio Piero Salvagni, uno dei “ragazzi di Petroselli”, tornato a fare l’ingegnere – ricorda. Petroselli era profondamente unitario.
Al di là di un aspetto trasandato e persino “burino”, era un uomo fine, colto, a Viterbo aveva studiato a fondo l’urbanistica di una città storica e per questo poté cogliere bene a Roma alcune concezioni avanzate, come le idee di Benevolo, Cederna e Insolera sul Parco dei Fori. Era un uomo problematico. Dopo i fatti di Ungheria del ’56, a 24 anni, rimase fuori per svariati mesi dal Pci. Era profondamente unitario nei confronti del Psi. Il discorso che pronunciò al Comitato centrale del Pci in sostanziale dissenso con Berlinguer (Petroselli morì subito dopo purtroppo) era tutto centrato sull’unità da mantenere, nonostante Craxi, col Psi, a Roma e altrove, sulla necessità di combattere l’insorgere di vecchi e nuovi settarismi. Della sua azione concreta e illuminata di segretario della Federazione prima e di sindaco poi non c’è molto, purtroppo, nel film. Al vice-sindaco socialista di allora Pier Luigi Severi vengono fatte dire due frasette senza peso.
La solita, ormai, “damnatio memoriae” socialista. Mentre si sprecano gli interventi di tipo encomiastico dei giovani comunisti di allora oggi squagliatisi ad un sole che non è certo quello dell’avvenire. Né c’è l’impegno forte contro il terrorismo “nero” e “rosso” che Petroselli dispiegò con energia e presenza costanti. C’è un “come eravamo” affettuoso, molto “interno” al Pci del tempo, probabilmente consolatorio, un pasolinismo un po’ di maniera. Peccato. Petroselli, quella Roma che si affrancava da anni di sgoverno, di abusivismo, di speculazione edilizia, meritava onestamente di più.