-CESARE MILANESE-
Autore del leggendario Cristo si è fermato a Eboli, Carlo Levi scrive in seguito un alto libro dall’ampio significato storico: “Pubblicato nel 1950, L’Orologio è uno dei migliori esempi di narrativa politica del dopoguerra, un’appassionata testimonianza sullo sfaldamento delle forze politiche antifasciste.” Così dice la bandella editoriale, qui riportata per rendere evidente l’appunto “sullo sfaldamento delle forze politiche antifasciste”. Asserzione che può essere anche giusta, in parte, ma che richiede e merita un’osservazione complementare.
Osservazione complementare a integrazione e precisazione della vulgata (reticente e deviante) che ha sempre accompagnato questo libro “rimosso”, per lo meno in un punto essenziale. Ma diamo pure spazio alla vulgata, in parte corretta e in parte “renitente”. Dice la scheda ufficiale: “Un orologio che si rompe dà l’avvio alla storia di tre giorni e tre notti nel dicembre del ’45, che cambia il destino dell’Italia. La fine del governo resistenziale di Ferruccio Parri, l’inizio della crisi dei partiti liberale e azionista, l’avvento al potere di Alcide De Gasperi e della Democrazia cristiana, e soprattutto Roma e l’Italia di allora: un complesso intreccio di avvenimenti politici e di condizioni umane raccontano con una tensione e un pathos che coinvolgono il lettore e rivelano la temperatura di una stagione traboccante di vitalità e nello stesso tempo vulnerabile di fronte a tutte le illusioni.”
Un po’ troppo criptico, appunto, anche se in realtà ciò che ne seguì è stato su per giù proprio così: retrocessione e irrilevanza dei partiti “di mezzo”. L’interpretazione “ufficiale”, però, commette un errore di omissione nell’attribuire esclusivamente alla parte degasperiana-democristiana lo spegnersi delle illusioni generose. Certo, De Gasperi c’entra, la Democrazia cristiana c’entra, ma De Gasperi, in particolare c’entra come personaggio raffigurato nel libro, che riproduce (è una pagina drammatica) la cerimonia delle dimissioni di Ferruccio Parri. Il personaggio narrante del libro, configurabile in Leo Valiani (sembra) sotto altro nome, che assiste alla cerimonia delle dimissioni di “Maurizio”, coglie in questo fatto la prefigurazione dello scenario storico-politico italiano che ne sarebbe seguito. E ne è, giustamente e lungimirantemente angosciato. La scena descritta è emblematica: al centro la figura dimessa di Parri, costretto a dimettersi, e ai suoi lati, a destra e a sinistra, rispettivamente le due figure politiche essenziali, perché le principali, di allora, De Gasperi e Togliatti.
E’ una grande pagina e non solo letteraria. Una grande pagina, perché ineccepibilmente profetica, proprio a proposito dello “sfaldamento” costitutivo successivo dell’avvenire d’Italia. Nell’episodio della cerimonia delle dimissioni di Parri, Carlo Levi rileva in lui la parte (politico-storica) dello sconfitto: immagine resa plasticamente evidente dall’incombere dei due dioscuri, impassibili, che gli stanno allato. Sono costoro i veri vincitori di tutta la grande partita. Il laico personaggio narrante, sa di essere lui lo sconfitto, e lucidamente, anche dolorosamente, intuisce il decorso successivo di tutta la “situazione” italiana, dominata dalle due forze maggiori, il cattolicesimo e il comunismo, come dato di fatto e come idea. Non ci sarà spazio paritetico per le forze “di mezzo”: in realtà, da allora in poi, relegate nella subalternità, ben che vada. Fine di un’illusione.
Il personaggio-testimone, a questo punto, riflette, dentro di sé, con una doppia preoccupazione: sa che il destino d’Italia d’ora in poi sarà deciso dall’esito del probabile scontro tra queste due “potenze” maggioritarie e ne paventa lo scontro, ma ne paventa ancora di più l’eventuale e possibile “incontro”, anzi fusione d’organizzazione e d’intenti. E’ questo il momento del libro, in cui il personaggio protagonista, il laico, per l’appunto, capisce che lo “sfaldamento” da paventare non è propriamente quello dei partiti antifascisti, ma di tutti gli altri partiti che sarebbero stati indotti, comunque andassero le cose (sia in seguito allo scontro e sia inseguito all’incontro delle due compagini “a vocazione totalitaria”), all’irrilevanza e quindi alla subalternità, ben che vada. Comunque la laicità, autonoma, progressista e libertaria, non avrebbe mai più conquistato la posizione della centralità.
Palmiro Togliatti, la “volpe di Salerno”, questo disegno lo aveva chiaro fin dallo sbarco a Salerno. Dall’articolo 7 al “dialogo con i cattolici”, fino alla maturazione del compromesso storico, la contesa e al tempo stesso l’intesa tra comunismo e cattolicismo costituirono il fatto dominante di tutta la storia d’Italia del secondo dopoguerra e perdura tuttora: il PD, con tutti gli annessi e connessi di contorno, ne è la risultante naturale. E qui non è nemmeno il caso di soffermarsi nell’elencazione delle prove e delle ricostruzioni storiche. Sta di fatto che la profezia storica dell’Orologio di Carlo Levi, secondo cui il patto d’unione, in contesa e in intesa, tra componente cattolicistica e componente comunistica, avrebbe costituito il baricentro intorno a cui si sarebbe svolta tutta la vicenda italica, da allora a tuttora, continua a trovare la sua conferma. E’ terribile dirlo: l’orologio storico d’Italia è fermo
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