– di GIUSEPPE TAMBURRANO –
Sono perfettamente cosciente che chi leggerà questo pezzo riderà di me (ma spero di sbagliarmi !!!). Il caso De Girolamo mi suggerisce alcune riflessioni e un ricordo. La ministra ha fatto scandalo perché ha usato la sua autorità per dare incarichi o prebende ad amici e parenti o perché usa un linguaggio da angiporto? In questa società ipertecnologica fa scandalo non il linguaggio, ma –sempre meno! – l’abuso di potere.
E questa è la cosa che mi addolora. La De Girolamo si difende dalle critiche al suo turpiloquio dichiarando sdegnata: “così fan tutte”. Ed ha ragione. La sera guardo la televisione, solo film western in cui si ammazzano a decine, ma muoiono con un linguaggio purgato. Ma non riesco a godermi un film perché il linguaggio degli attori è lo stesso della De Girolamo: dunque non si tratta di violazione del comune senso del pudore o di volgarità: ma della lingua comunemente parlata: e non si può escludere che sia recepita dai vocabolari che debbono svolgere doverosamente il compito di far capire il senso delle parole.
Non esagero! Per me uno dei peggiori danni procurati dalla “evoluzione” dei costumi è la fine del pudore. Tra le immagini che conservo nella mia memoria con grande letizia per non dire felicità vi è quella della studentessa seduta di fronte a me per sostenere l’esame all’Università. Era con la testa bassa e alla mia domanda la sollevò: le sue guance si tinsero di rosa e nei suoi occhi passò veloce come un lampo una luce di pudore che fu un balsamo incantevole che mi fece vibrare tutte le fibre. Poi riabbassò la testa e rispose correttamente alla domanda. Un attimo di incantesimo che riscatta la donna dall’abiezione.
Non ho più incontrato quella studentessa!
Giuseppe Tamburrano