Nella giornata di mercoledì, così concitata, fangosa e a tratti drammatica, si è notata una assenza politica: fra i protagonisti della vicenda non c’era un solo post-comunista. Ex democristiani sia Enrico Letta che Angelino Alfano, ex dc Luigi Zanda (che ha subito risposto seccamente alla piroetta di Berlusconi), ex socialisti le “colombe” del Pdl, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Sacconi, ex socialista il segretario e oratore alla Camera per il Pd, Guglielmo Epifani. Come dire che la cultura di governo post-comunista, a parte Giorgio Napolitano (che già da tempo si considerava “labour”), di un partito cioè che non ha scelto di essere qualcosa, che ha deciso di non avere una identità decifrabile è apparsa debole, poco o nulla visibile. Un vuoto, una latitanza, o una latenza avvertibili e per niente positive. Non rimpiango la mancanza di interventi rilevanti di Veltroni o di D’Alema. Fra l’altro quest’ultimo è stato tirato per i capelli da un altro protagonista ex dc, Romano Prodi, per la mai chiarita e orrenda vicenda dei 101 astenuti alla votazione su Prodi per il Quirinale. Ma non era una presenza nei titoli e nelle cronache di tipo nobile, visto che l’ex premier lo accusava di avergli fatto capire al telefono che mai sarebbe potuto salire al Quirinale visto che sulla sua candidatura non erano stati “coinvolti i dirigenti” del partito (errore di Pier Luigi Bersani, troppo “generoso”?). Non rimpiango dunque la scesa in campo di Veltroni o di D’Alema, ma l’opacità di un gruppo fondatore essenziale per il Pd, del suo gruppo maggiore anzi.
Vittorio Emiliani