Le lezioni del 2001 e del 2006 non hanno insegnato nulla. Nel 2001 per l’ipotetico vantaggio di salvare 14 di loro dalla non rielezione grazie alle liste civetta: un trucco per non dare il dovuto alle liste concorrenti in parte proporzionale si consegnò anche il Senato a Berlusconi. Berlusconi che aveva la maggioranza alla Camera non restituì il favore così i 14 rimasero a spasso e non tutti avevano il vitalizio. Nel 2006, invece, la prima con la legge 207/2005 confinando nel Senato le minoranze interne, proprio nella Camera con una maggioranza ristrettissima, si è contribuito all’instabilità governativa. Purtroppo la casta politica, senza distinzione politica, si riteneva garantita meglio dall’art. 66 Cost( le Camere decidono sui propri membri, la cosiddetta autodichia)., invece che da un sistema di impugnazioni delle operazioni elettorali, almeno quelle preparatorie riportando alla loro giurisdizione domestica ogni tipo di controversia, grazie all’art. 87 T.U. Elezione Camera dei Deputati, interpretato estensivamente dalla magistratura. Con la conseguenza che sono le Camere elette a decidere sulla legittimità e costituzionalità delle leggi elettorali e sulle stesse operazioni elettorali preparatorie(ammissione di liste e candidature) a babbo morto, cioè dopo le elezioni. In cambio alla magistratura hanno dato generosi stipendi e meccanismi automatici di promozioni , ad un certo punto si sono collegate le indennità parlamentari agli stipendi dei giudici: un accordo tacito, che ha funzionato bene per decenni, alle spalle della Costituzione. Norme costituzionali sono rimaste inattuate o inadeguatamente attuate, perché davano fastidio all’ordine giudiziario, qualche esempio: art. 102, c. 3(partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia), art. 106, c. 2 e 3( nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli e chiamata all’ufficio di consiglieri di cassazione di professori universitari e avvocati) o dell’art. 98, c.3( limitazioni al diritto di iscriversi a partiti politici). Vogliamo riflettere sul fatto che non sono sane per la divisione dei poteri( la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere, art. 104, c.1) gli incarichi al servizio dell’esecutivo( ministero della giustizia e uffici nei gabinetti ministeriali, nomine governative in autorità o commissioni di collaudo di opere pubbliche), facoltà di assumere incarichi come arbitri . Non è questa la sede per parlare delle triangolazioni di copertura della corruzione con sentenze tipo quelle in materia di anticipazioni sui lavori e forniture pubbliche o sulle società controllate da enti pubblici, ma costituite in forma di diritto privato o dei famosi porti delle nebbie, nelle quali si perdevano delicate inchieste penali. Il rapporto organico si è rotto con tangentopoli, ma con la conseguenza di lanciare in politica magistrati e avvocati di imputati eccellenti. Del vecchio connubio resiste soltanto l’assenza di controllo giurisdizionale sulle elezioni del parlamento nazionale a dispetto di una legge delega inequivoca(art. 44, c. 2 lett. d L. 69/2009). Questo è un aspetto importante perché grazie ad esso sono rimaste in vita norme incostituzionali della legge elettorale vigente a cominciare dal premio di maggioranza in assenza di una soglia in voti o seggi( sentenze n. 15 e 16 del 2008 della Corte Costituzionale), ma che non è la sola(liste bloccate per di più in assenza di alternanza di genere obbligatoria).Il porcellum è una legge elettorale che ha profondamente modificato il sistema politico, come prima il mattarellum e il tatarellum, ma in misura minore, condizionando le scelte politiche, le alleanze e il comportamento elettorale. La legge elettorale ha confermato la tendenza del rafforzamento dell’esecutivo attraverso la scelta maggioritaria a danno di quella proporzionale nell’elezione degli organi rappresentativi e con l’elezione diretta dei vertici esecutivi. Negli enti locali e nelle regioni il progetto di emarginazione degli organi elettivi rappresentativi è compiuto, nelle istituzioni statali si frapponeva la Costituzione, che prevedeva -e tuttora prevede- una forma di governo parlamentare. Si è raggirata la Costituzione con una legge ordinaria, che anticipava una riforma costituzionale, fortunatamente e fortunosamente affondata dal responso negativo del referendum costituzionale confermativo del 2006. Tuttavia il guasto istituzionale è stato compito e probabilmente in modo irreversibile dal momento, che si vota col porcellum per la terza volta, malgrado il monito giuridico autorevole della Corte Costituzionale con le già citate sentenze del 2008, ribadito con la sentenza n. 13 del 2012, di inammissibilità del referendum abrogativo-truffa Di Pietro/Parisi, dopo che era stato politicamente affondato quello Passigli/Villone. Al monito della Consulta si erano aggiunte le esortazioni sempre più pressanti del Capo dello Stato, purtroppo tenuto all’oscuro degli ostacoli frapposti dal Governo Monti all’invio alla Corte Costituzionale della legge elettorale(ne ha parlato soltanto il Manifesto, senza ricevere smentite) possibile nell’ambito del giudizio instaurato presso la Corte d’Appello di Milano e conclusosi con la sentenza del 18 aprile 2012, in tempo utile per costringere il Parlamento a provvedere. Certamente non si può affermare con certezza che Monti avesse già deciso nella primavera dell’anno appena passato, ma se coltivava l’intenzione allora il porcellum era la legge ideale: da al capo politico della coalizione l’ultima parola sulle candidature e pertanto sulle nomine dei parlamentarie e grazie al Senato la possibilità di esercitare il ruolo di arbitro politrico, anche se si è minoranza alla Camera dei Deputati. In ogni caso c’era l’aspetto tattico: le elezioni anticipate erano allontanate finché c’era questa legge elettorale e al Senato si svolgeva la pantomima della riforma della legge elettorale. Agli esperti di procedure parlamentari non era sfuggito il fatto che aver abbinato la procedura di revisione costituzionale sulla diminuzione dei parlamentari ( procedura aggravata ex art. 138 Cost.) alla riforma della legge elettorale( procedura ordinaria) significava rischiare fortemente di non farne nulla, quando sarebbe stata più rapida una manutenzione della legge 207/2005, nel senso dei quesititi referendari Passigli/Villone: se proprio si voleva dare un’offa in pasto ad un’opinione pubblica montata contro i costi della politica, bastava ridurre anche drasticamente le indennità parlamentari fino all’approvazione della legge di revisione costituzionale. Tra l’altro la riduzione delle indennità può comportare gli stessi risparmi della riduzione del numero dei parlamentari senza l’innalzamento di fatto del quoziente elettorale, in altre parole salvaguardando il bene prezioso del pluralismo politico, aspetto non secondario in una democrazia parlamentare. Questi ragionamenti lasciano indifferenti le principali formazione politiche(PD e PdL sia pure alternativamente a ruoli invertiti), che hanno invece lucidamente perseguito la bipolarizzazione artificiale del sistema partitico, perché questo aumenta il loro peso nel determinare le alleanze di coalizione e quindi i loro programmi. Nel 2008 il PdL e nel 2013 il PD hanno rispettivamente tratto o trarranno profitto da questa situazione: per quest’ultimo basta avere attenzione alla sostanza della dichiarazione di intenti sottoscritta da PD PSI e SEL e confrontarla con l’ultimo programma di un partito socialdemocratico come il PS di Hollande e-Désir. (1-continua)
Felice Besostri