La Primavera araba ha confermato, nella mente di molti, uno stereotipo duro a morire: gli arabi, soprattutto quelli di fede musulmana, sono fanatici, intolleranti, quasi predisposti geneticamente alla violenza piu’ truce e gratuita. Le notizie che filtrano dalla Siria paiono confermarlo: bambini trucidati, stupri, torture, esecuzioni sommarie, corpi decapitati, fosse comuni. Eppure, io che ho vissuto a Damasco per sei mesi consecutivi, nel cuore della Primavera araba, posso solo dire che ho incontrato gente straordinaria. Quello siriano è uno dei popoli piu’ civili che abbia mai conosciuto: ospitali, pronti ad aiutarti in tutto, i siriani sono socievolissimi, gentili e rispettosi. L’élite, sia musulmana che cristiana, è straordinariamente colta: tutti i miei interlocutori in ambito culturale parlavano correntemente almeno due lingue europee,il francese e l’inglese; alcuni addirittura tre-quattro lingue – molto diffusi l’italiano, il tedesco e il russo. Damasco è una città di cultura, che ha un bellissimo teatro dell’Opera, un Centro per il Restauro all’avanguardia, vari Musei e una miriade di Centri culturali attivi e frequentatissimi. Nel cuore della città antica ho ammirato vere e proprie perle: stupendi atelier animati da artisti straordinari, all’interno di dimore esotiche del periodo ottomano. Tutta la Siria esibisce tracce di un patrimonio archeologico di importanza unica: reperti che risalgono a millenni prima di Cristo; rovine romane, castelli crociati, Moschee di rara bellezza. Una storia così ricca, prodotto dell’incontro-scontro tra popoli diversissimi, ha lasciato un’eredità imponente. Questo il problema – che tale non dovrebbe essere, ma lo è inevitabilente nel contesto mediorientale: il popolo siriano è un coacervo di etnìe e religioni: cristiani di varie confessioni (maroniti, greco-ortodossi, greco-cattolici); sunniti di ogni orientamento, dai moderati, ai fratelli musulmani, ai fanatici salafiti; sciiti, nemici storici dei sunniti; alawiti, la minoranza al potere, la cui cultura sincretistica ha ascendenze pre-islamiche e addirittura pagane, pre-cristiane; i drusi, altra minoranza che, come quella degli alawiti, ha preservato la propria cultura millenaria vivendo appartata in montagne impenetrabili; gli ebrei, benché pochissimi, ma un tempo numerosi nella città di Damasco, anch’essi orgogliosi della loro appartenenza alla nazione siriana; gli armeni, che non sono arabi; e i curdi, di origine iranica, i quali parlano una lingua indoeuropea (questi ultimi hanno un’identità culturale-nazionale potenzialmente separatista). Un crogiolo di razze e culture, che dovrebbe essere il tripudio del multiculturalismo e invece è come un gigantesco deposito di nitro-glicerina: basta uno scossone perché salti tutto per aria.
No, non c’è nessuna singolarità araba: quando penso alla guerra civile siriana, mi tornano alla mente le immagini dei Balcani, negli anni ’90. Anche allora si disse: gli slavi sono bestie feroci. In quel frangente, però, erano i serbi – di estrazione cristiana – a perseguitare e massacrare i musulmani bosniaci, che tra l’altro si erano così secolarizzati da aver quasi dimenticato l’Islam. In quel periodo mi trovavo nella civilissima Irlanda, terra cristiana da tempo immemorabile, primo avamposto al Nord d’Europa della civiltà occidentale negli anni bui del Medioevo, Paese in cui la fede è ancora sentita da vasti strati della popolazione. Ricordo l’odio feroce tra cattolici e protestanti, pur adoratori dello stesso Dio e del Cristo evangelico, il Messia che predicava l’amore per il prossimo. La turbolenza degli anni ’70 era un pallido ricordo, eppure l’odio interreligioso covava sotto le ceneri. Sembrava un fuoco inestinguibile. Leggevo spesso veri e propri bollettini di guerra, di una guerra civile strisciante, condita da episodi raccapriccianti. Ne ricordo uno, e non lo dimenticherò mai, avvenuto in qualche sobborgo di Belfast: una ragazza cattolica capita, per sbaglio, in una festa protestante – oppure, il che è lo stesso, la ragazza era protestante e la festa cattolica –, viene aggredita e picchiata selvaggiamente. Le sue coetanee, credo studentesse universitarie, le strappano un occhio a unghiate. Notizie come questa in Europa non finivano in prima pagina.
Ciò che scatena queste orge di violenza non è solo il fanatismo insito nelle religioni abramitiche. È l’incancrenirsi di questioni politiche e rivendicazioni economico-sociali in società multiculturali o multirazziali. È il sovrapporsi di identità religiose ed etnìe in contesti sociali di sottosviluppo e di povertà, o in contesti politici in cui un gruppo etnico o religioso gode di privilegi e discrimina gli altri gruppi. A quel punto la religione è la miccia che dà fuoco alle polveri. Fanatismo religioso ed estremismo politico diventano un tutt’uno. Quando il proletariato è anche un gruppo religioso coeso, come nell’Irlanda del Nord — dove i protestanti, discendenti degli antichi colonizzatori scozzesi-inglesi, la facevano da padroni –, ecco che l’identità religiosa agisce da detonatore: i proletari-disoccupati-poveri si compattono dietro al vessillo confessionale. Il gruppo discriminato o svantaggiato, in tal caso, è coeso da un punto di vista religioso, culturale, politico, sociale. Troppo coeso per non sprigionare una carica iper-distruttiva. A quel punto, le categorie politiche – in primis destra e sinistra – saltono. Non sono consentite mediazioni: se nasci cattolico, non potrai mai liberarti della tua cattolicità: sarai sempre considerato cattolico anche se ti professi marxista e ateo. Se non vuoi essere un apolide e un traditore, devi schierarti con la tua comunità, con la tua gente. Altrimenti tradisci la tua stessa famiglia, il tuo stesso sangue. Ho ritrovato la stessa spietata legge in Medioriente, dove c’è – talora, in qualche luogo – la libertà di religione, ma giammai può esserci la libertà dalla religione nella quale sei nato. I matrimoni misti e interreligiosi sono una rarità.
No, cari amici, gli arabi non sono piu’ ferini di noi. Siamo tutti uguali, noi esseri umani. Homo homini lupus.
Edoardo Crisafulli