La Camera ha recentemente approvato il disegno di legge sulla riforma del mercato del lavoro, già passato al Senato lo scorso 31 maggio. Stando agli obiettivi dichiarati, con la riforma del mercato del lavoro il Governo si propone di favorire l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili, confermando la centralità del lavoro subordinato a tempo indeterminato e valorizzando l’apprendistato per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Allo stesso tempo con la riforma si vogliono ridistribuire in modo più equo le tutele dell’impiego, rendere più efficiente il sistema degli ammortizzatori sociali e contrastare l’uso elusivo di forme contrattuali esistenti.
Per raggiungere questi obiettivi viene così introdotta una maggiore flessibilità in entrata ma con il limite di 36 mesi ai rapporti di lavoro a tempo determinato, ma anche una maggiore flessibilità in uscita, con una rimodulazione e riduzione delle tutele a favore dei lavoratori.
Ma non si vuole qui entrare più di tanto nel merito di questa riforma, che molti mal di pancia ancora suscita, per opposte ragioni, alle forze politiche di destra e di sinistra. Quanto piuttosto si intende discutere dell’opportunità di dare priorità a questa riforma rispetto ad altre, quale, ad esempio quella sulla spending review.
Come si ricorderà nell’agosto dello scorso anno, la Banca Centrale Europea inviò una missiva al Primo Ministro italiano allora in carica, di fatto subordinando l’intervento della BCE a sostegno dei nostri titoli di Stato alla realizzazione di alcune riforme strutturali che “modernizzassero” la nostra economia e dessero agli investitori esteri le necessarie garanzie sulla stabilità del nostro Paese. Tra le altre, in tale lettera, veniva menzionata la riforma del mercato del lavoro.
Da circa un anno poi siamo quotidianamente aggiornati sull’andamento degli spread dei nostri titoli di Stato rispetto a quelli tedeschi, quasi fosse il termometro di una febbre.
La Banca Centrale Europea ed i mercati finanziari dettano la nostra agenda politica condizionando dunque la nostra vita democratica. Lo stesso Monti ha chiesto di accelerare l’approvazione della riforma del mercato del lavoro, che pure non è stata ancora metabolizzata dalle forze politiche, da un lato per rispettare il diktat della Banca Centrale Europea, il cui intervento a questo punto potrebbe essere ancora necessario per calmierare il costo del nostro debito pubblico, e dall’altro per non presentarsi a mani vuote al Consiglio Europeo di fine giugno. Insomma la riforma del mercato del lavoro sembra oggi la cura per ridurre gli spread e ci viene presentata come fondamentale per aumentare il nostro peso in Europa.
Vedremo se sarà davvero così ma intanto non possiamo non registrare che è in atto una devoluzione fattuale di poteri alle istituzioni europee, poteri che storicamente sono sempre stati a livello nazionale o addirittura regionale. Ma se questo fenomeno può in qualche misura essere considerato teoricamente positivo – andando verso un’unione europea dai maggiori connotati politici e quindi maggiormente in grado di rispondere alle sfide mondiali – occorrerebbe dall’altro ricordare che oggi solo per gli Stati sovrani esistono strumenti di controllo democratico e che le istituzioni che governano attualmente l’Europa sono più lontane dalla democrazia rispetto a quelle nazionali.
Il Parlamento europeo, l’unico organismo eletto direttamente dai cittadini, in realtà ha poteri molto limitati. Al contrario, la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea, pur composti da membri designati dai vari Stati membri, in realtà sono organismi autoreferenziali e che rispondono solo a sé stessi. Vero è che in Italia, prima con la legge elettorale “porcata”, poi con il governo dei tecnici e supertecnici, ci siamo già allontanati da un sistema realmente democratico, ma è bene ogni tanto ricordare questi aspetti per uscire dal sopore in cui sembriamo caduti.
Fra meno di un anno si tornerà dunque a votare e dovremmo tutti pretendere di poter tornare a far pesare il nostro voto, da un lato esprimendo la preferenza per il nostro candidato favorito e dall’altro auspicando che, pur nella salvaguardia della stabilità politica del Paese, il nuovo Parlamento sia il più rappresentativo
possibile delle forze politiche presenti nel Paese. Solo così potremo avere una classe dirigente politica degna di questo nome e capace di essere pesante, proprio perché democratica, anche in Europa.
In questo contesto, l’approvazione in Parlamento della riforma del mercato del lavoro, è formalmente un atto politico e democratico ma sostanzialmente un atto indotto da un’istituzione europea non democratica, eppure necessaria per la nostra sopravvivenza. Se così è, la democrazia è davvero ridotta male e la soluzione non è la riforma del mercato del lavoro ma piuttosto una nuova legge elettorale.
Alfonso Siano
Il rischio della democrazia è la ricostituzione permanente di oligarchie politiche le quali monopolizzano in maggiore o minore misura il potere in nome della competenza e della ricchezza,sotto l’apparenza dell’alternanza. Vedi l’occupazione dei posti di potere da parte della casta per i propri parenti o amici.Oppure l’elezione a Presidente degli Stati Uniti, in un intervallo di tempo di neppure dieci anni, di due membri della stessa famiglia (Bush).