Minestrone democratico e legge della doppiezza

Scalfari – “Cappuccino democratico”, L’Espresso, 15-3-2012 – afferma che il riformismo di Turati, il liberal-socialismo dei fratelli Rosselli, il pensiero critico di Bobbio sono – o dovrebbero essere – i perni dell’identità del PD. Il riformista socialista – che compendia quelle correnti di pensiero – è “lo spirito di fondo d’un partito riformista”, di governo. Lo sapevamo, ma è bene che lo si ripeta. Il problema, però, è che Scalfari ha in mente un partito immaginario. Forzandone un po’ il pensiero, un redattore aggiunge la chiosa: “il PD deve restare liberal-socialista se vuole vincere”. Ma se il PD è liberal-socialista in ogni fibra del suo essere perché non si dichiara tale? Perché non aderisce al PSE e all’Internazionale Socialista, dove si troverebbe in ottima compagnia? Semplice: perché non è liberal-socialista! Scalfari si comporta come uno struzzo: se riconoscesse la verità, dovrebbe trarne le conseguenze e lanciarsi in un attacco frontale contro chi ha voluto il PD (nome est omen), un guazzabuglio di partito senz’anima e senza storia, che preferisce navigare a vista in mezzo a maree e tempeste piuttosto che rifugiarsi in quel porto sicuro che è il socialismo europeo. Non m’interessa polemizzare. Vorrei capire la legge della doppiezza, che regola la politica italiana. Perché gli intellettuali non ne sono consapevoli o fingono di non esserlo, utilizzando il meccanismo psichico della rimozione? La spiegazione degli ex DS è questa: senza i cattolici non possiamo costituire una massa critica, una forza politica sopra il 30%. Se ci dichiariamo socialisti, quelli ci abbandonano. L’argomentazione non convince: la fine dell’unità politica dei cattolici ha scombussolato tutto. Si può senz’altro essere socialisti e cattolici (o, quantomeno, cristiani). Ratzinger scrisse che social-democrazia e dottrina sociale cattolica sono come vasi comunicati. Il socialismo libertario, aggiungo io, è la secolarizzazione dello spirito cristiano. Ma all’epoca della costituzione del PD, non c’è stato un dibattito serio che confrontasse le ragioni dei cattolici con quelle dei laici. Si è volato molto basso, a rasoterra.

Il fatto è che issare una ‘bandiera’ dai colori sgargianti – rivendicare a viso aperto una cultura politica –– obbligherebbe alla coerenza, spingerebbe verso scelte nette. I dirigenti del PD hanno un altro obiettivo: far convivere anime diverse sotto lo stesso tetto: ex comunisti, ex democristiani, più una manciata di laici, di socialisti e di radicali per coprirsi il fianco sinistro… Anche l’area social-democratica, maggioritaria tra gli ex DS, è divisa: tentenna fra l’apertura della modernità (il ‘revisionismo’ di un tempo) e la trincea conservatice della CGIL. Il deputato ‘liberal’ Ichino, così vicino alla figura indimenticabile di Marco Biagi, è una mosca bianca. Una generica identità ‘democratica’ consente di nascondere conflitti e contraddizioni.

Ma la questione è più complessa: la doppiezza è un prodotto perverso del cattolicesimo controriformistico, che ancora offusca la mente degli italiani. Anche il laicissimo Scalfari è figlio della socializzazione cattolica. La Controriforma ha ucciso l’immanentismo dell’uomo rinascimentale; ha eroso, fin dove ha potuto, le fondamenta culturali della città secolare, direbbe forse Luciano Pellicani. E lo ha fatto reintroducendo quella scissione tra teoria e prassi che Machiavelli ‘il realista politico’ aveva superato. La modernità prosegue la sua marcia inarrestabile: la ragion di Stato ha ragioni che la morale non conosce. Ma questo non lo si può ammettere apertamente, non lo si può teorizzare come aveva fatto Machiavelli. La scaltrezza del principe machiavellico è cosa riprovevole. Morale comune e politica devono essere un tutt’uno. Se la realtà contrasta con l’ideale, non si rivede questo: si nega quella. Di qui l’ipocrisia, la doppiezza gesuitica, che è un machiavellismo deteriore, negato in teoria e realizzato in pratica: la politica senza ideali, lotta bruta per il potere, è una tragica necessità – la carne è debole – che viene sublimata in un ideale puro, irraggiungibile – i Papi si sono sporcati le mani con la politica per secoli, ma non hanno contaminato la purezza del messaggio evangelico. Così si è formata l’ideologia italiana: un mix di opportunismo il più spregiudicato e di idealismo ‘acchiappanuvole’. Insomma: la doppiezza convive con l’ostentazione della fede.

L’analisi storico-culturale ha ricadute sulla prassi. Cosa fare oggi? Certi atavismi della nostro ‘carattere’ nazionale vanno imbrigliati in maniera intelligente. Poiché la doppiezza ci ripugna, e quindi non intendiamo piegarci alla sua logica, non ri resta che una soluzione: preservare l’altro elemento dell’ideologia italiana: l’ostentazione della fede – laica quanto si vuole, ma pur sempre fede. Non è cosa facile. La fede è come le sabbie mobili: è associata a forze negative, estranee alla nostra mentalità laica: il messianesimo, il fanatismo, l’ideologia dogmatica. Eppure ci dev’essere la formula che quadri il cerchio: da un lato vogliamo evitare la fuga dalla realtà (la politica è prassi umana, mondana; si svolge interamente all’interno delle mura della città secolare); dall’altro lato propugniamo un ideale, sicché non possiamo dire alla gente: per noi la politica è solo gestione efficiente e onesta della cosa pubblica. Non di solo pane – ma neppure di soli ideali – vive l’uomo. Sarebbe da folli riproporre il sogno di un Paradiso Terrestre, scendiamo quindi nel concreto: rigeneriamo l’immagine del politico di sinistra, e monitoriamone il comportamento effettivo, la coerenza. Il politico dev’essere (non solo apparire) persona disinteressata, che si sacrifica per la comunità; persona per la quale la politica non è una professione come un’altra, ma dedizione alla causa in cui crede, spirito di servizio verso i diseredati, i deboli, la gente comune. È da qui che dobbiamo ripartire, se vogliamo ricostruire una sinistra vincente. La cultura politica l’abbiamo già: è il liberal-socialismo. Occorrono, certo, programmi e linguaggi nuovi. Ma ci vogliono soprattutto uomini e donne nuovi. Statisti con la caratura di un Craxi; idealisti  con la stoffa di un Berlinguer. All’uomo di fede molto viene perdonato.

Scalfari ha sempre negato la doppiezza in chi ammirava. Nel 1976 scrisse che Berlinguer, tutt’altro uomo dal ‘machiavellico’ Togliatti, “non può che avere sulle labbra ciò che ha in testa”. Una castroneria. Eppure Scalfari – e con lui una fetta enorme dell’intellighenzia – aprì un credito illimitato all’ideatore del compromesso storico. Era affascinato dalla “carica emotiva, umana, quasi sensuale che Berlinguer riesce a comunicare a chi lo ascolta”. Questa è l’attrazione fatale che suscita l’uomo di fede, e non già il teorizzatore della Realpolitik.

 Edoardo Crisafulli

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

One thought on “Minestrone democratico e legge della doppiezza

Rispondi