Le continue forzature di Elsa Fornero sulla necessità ineludibile di modificare a fondo l’articolo 18 e comunque di non arretrare di un millimetro da quella necessità si potevano imputare allo scarso uso di mondo (politico) e ad una sorta di ingessatura cattedratica. Ma come imputare tutto ciò a Mario Monti, che è stato commissario, anche molto esposto alle polemiche, a Bruxelles e che ben conosce il mondo della politica? Eppure anche il presidente “tecnico” non demorde. Insiste sul fatto che il cambiamento radicale dell’articolo 18 è necessario per convincere gli imprenditori ad assumere poiché, dopo la “riforma”, sanno di poter anche licenziare chi in fabbrica si mette di traverso, non lavora granché o non è più necessario per l’introduzione di nuove tecnologie. Il guaio (per lui) è che la maggior parte degli imprenditori non considera l’articolo 18 l’ostacolo ad un nuovo sviluppo italiano, ma semmai la marea di carte burocratiche, la mancanza di coordinamento fra le amministrazioni e così via. Discorso che vale anche per i potenziali investitori stranieri. E allora?
La chiave la può fornire la dichiarazione (pesantissima) di Monti sul governo “che ha il consenso” e “i partiti che non ce l’hanno”. Come se lui fosse stato portato ad una sorta di dittatura tecnocratica da un televoto o da qualcosa di simile, prescindendo dai partiti e dal Parlamento. Chi lo difende più di tutti? Casini che pensa di sostituire all’Udc il Partito della Nazione. Che potrebbe essere messo in campo coi pezzi scomposti di tutto il centrodestra e magari qualche altro apporto dal centro (o dallo stesso Pd dove non mancano le “sofferenze” degli ex Margherita) per un turno elettorale ad ottobre. Imbarcando alcuni “tecnici”? E’ possibile. A cominciare dall’attivo e abile Corrado Passera. Per Monti ci sarebbe sempre, nel 2013, il Colle.
Vittorio Emiliani