Antonio Ghirelli ci ha lasciato. E con lui un altro pezzo di quell’Italia migliore che tanto ci manca è andato via. Era un uomo d’altri tempi; appartenente a quella generazione di uomini liberi che, animati da una concezione romantica della politica, non avevano esitato, durante il regime fascista, a sacrificare tutta la loro giovinezza per ridare libertà e democrazia al nostro paese, edificando sulle macerie un’Italia <<più ricca, più colta, più morale, più libera>>. Socialista romantico, intervistato dalla Gruber, diede quella che è una delle più belle definizioni di socialismo: “il socialismo – disse – non è un’ideologia, il socialismo è un sentimento, il sentimento della solidarietà. Noi sentiamo che se c’è qualcuno infelice siamo infelici anche noi”. In quella frase riecheggiavano sapori di un socialismo d’altri tempi. Sembrava di riascoltare i comizi appassionati di quegli “apostoli eretici” che, commossi dalle storie di miseria e d’infelicità, per le situazioni di disagio ed estremo abbandono, parlavano di libertà e di giustizia al cuore della gente.
La solidarietà e il rispetto per l’altrui dignità, la tolleranza e l’amore, sono valori che si possono apprendere dai libri. I libri seri si capisce. Ma nulla li imprime meglio nell’animo che il vivo esempio. E non c’è retorica nell’affermare che Antonio Ghirelli li ha incarnati e vissuti tutti, quotidianamente, quei valori. Tanto che quando si pensa a lui non si può fare a meno di pensare a un uomo buono, dalla spiccata nobiltà d’animo; un galantuomo dalla simpatia contagiosa. E, valga quel che valga, al riguardo c’è anche la mia testimonianza a provarlo. Ho avuto l’onore di essere suo amico in questi ultimi anni. L’avevo seguito per anni, divorandone i libri e i chiari e pungenti editoriali. Sognavo di fare strada in quel lavoro in cui lui per tanti anni era stato un maestro. Un caldo pomeriggio autunnale, nella sua Napoli, lo andai a incontrare. Gli lasciai in dono una copia della mia tesi di laurea su Carlo Rosselli, in cui era stato più volte citato. Un giorno, apparentemente qualunque, accadde qualcosa di piacevolmente inaspettato. Squillò il telefono e dall’altro lato del filo c’era lui. Dopo avermi confessato le difficoltà nel reperire il mio contatto telefonico, con il suo fare sempre gentile si congratulava per il lavoro e mi invitava nella sua abitazione romana. Furono ore indimenticabili. Una di quelle giornate che porterò nel mio animo per sempre, quasi fosse un tatuaggio indelebile sul cuore. Parlammo a lungo. Ma il tempo, come spesso accade nelle occasioni piacevoli, sembrò volare. Fu una lezione di vita, che non dimenticherò mai.Dalle sue parole emersero, quasi magicamente, immagini, voci e ricordi di una politica d’altri tempi; vissuta in prima persona nei tanti anni spesi al fianco di Pertini e Craxi. Mi ribadì l’importanza del dialogo e della tolleranza. La necessità del confronto con gli altri come unico antidoto contro le violenze e i deliri dei fanatismi. In politica come nella vita di tutti i giorni. Parlammo di Barbara, la sua incantevole moglie da poco scomparsa. Capii da quelle parole e da quegli occhi così pieni d’amore cosa significa “amare” veramente una persona. “Da quando lei è morta – mi confidò – sono morto pure io. Vivo solo quando scrivo, leggo, o quando parlo. Ma una mia vita indipendente non ce l’ho più. E’ la vita stessa che non mi interessa più”. Sono sicuro che lassù sarà subito corso a riabbracciarla. Ora, finalmente, per sempre.
Pieno di quei tanti dubbi che spesso accompagnano la crescita e la maturazione di ogni uomo, prima di lasciarci, gli domandai: “Cosa dà senso a una vita?” Così rispose: “Un ideale. La bontà sposata all’etica”. Quell’altalena di emozioni si concluse con l’ultima, definitiva, battuta, pronunciata sulla soglia della porta di casa, e che mi sarebbe restata dentro come un monito. “Fare qualcosa per gli altri – mi disse – saper guardare al di là della propria sfera. Questo dà senso a un’esistenza. Aiutare l’altro. Solidarizzare con l’altro. Condividere con l’altro. Non necessariamente in modo materiale, anche soltanto emotivamente. Con un semplice gesto, con un abbraccio, una carezza”. Da allora altre volte ci saremmo incontrati. Spesso ci sentivamo al telefono. Fino a ieri mattina. Ora il suo ricordo e i suoi insegnamenti resteranno con me per sempre. Pronti a sorreggermi nei momenti duri e nelle scelte difficili. In particolare quella frase: “fare qualcosa per gli altri”. Lui, nella sua lunga vita, l’ha fatto ogni giorno. E Penso sia la più bella eredità che ci ha lasciato. A noi tutti. Arrivederci Direttore.
Sabatino Truppi
Bellissimo socialista, bellissima persona, bellissimo articolo…