Il welfare è un lusso? Il fuoco incrociato contro il welfare non conosce sosta. Sì, perché alla crisi causata dai consumi a debito, dai mutui facili e dalla speculazione finanziaria occorre rispondere a quanto pare con il taglio dei salari, delle spese sociali, con le privatizzazioni, in poche parole con quel poco che il ciclo neoliberista aveva risparmiato e che adesso, complice la crisi, viene rivendicato con ancora più insistenza. Insomma il grande capitale non sembra ancora soddisfatto. Non soddisfatto di avere già spostato alla sua remunerazione la gran parte della ricchezza prodotta, anche al costo di rendere progressivamente insolvibile il debito di chi continuava a consumare, pur vedendo decrescere il potere d’acquisto. Eppure ci avevano detto che la crisi era stata generata da un eccesso di fiducia nel mercato autoregolato, dalla cupidigia di quegli abili speculatori di wall street pronti a non fermarsi di fronte a niente pur di incrementare guadagni e stock options, dalla finanziarizzazione dell’economia. Così ci avevano detto. E anche che era arrivato il momento di riportare risorse e ricchezza verso i cosiddetti “produttori”, ovvero imprese reali e lavoratori reali. Insomma sembrava per una volta che la disuguaglianza nei redditi fosse percepita come un problema serio, anche ai fini della produzione. E invece ci eravamo sbagliati. Non contenti delle conseguenze della più grave crisi dal ’29 a questa parte, questi stessi signori propinano come soluzione alla crisi le stesse ricette che ne hanno determinato l’esplosione. Insomma la partita non è ancora finita e chi pensava e sperava che si sarebbero riproposti, magari rivisti, vecchi strumenti di sostegno della domanda è destinato a rimanere deluso. Siamo in realtà alla vigilia di una nuova grande trasformazione per dirla con Polanyi. Una nuova grande trasformazione destinata a compiere le premesse di quel ciclo neoliberista che ai più sembrava concluso. La Grecia è il teatro delle operazioni. Per poco poteva esserlo anche l’Italia, ma non è detto che non accadrà. Di fronte all’esplosione del debito, tanto pubblico, quanto privato, la soluzione è così la depressione della domanda, privatizzazioni e svendite di stato, taglio dei salari, licenziamenti, e la fine delle politiche sociali. Il welfare come i greci l’hanno conosciuto (certo non esente da contraddizioni interne) è destinato a scomparire. Ma cosa più preoccupante è l’intero modello sociale europeo, dice Marchionne, che deve fare la stessa fine, pena la perdita di competitività delle imprese e la fine del destino industriale di questa parte del mondo. Insomma prepariamoci perché la grande trasformazione non è ancora compiuta e la mercificazione deve ancora compiere la sue premesse. Questa prospettiva non è fuori delle possibilità. D’altra parte non è la prima volta che accade. Polanyi scrisse la Grande trasformazione durante la seconda guerra mondiale e di fronte aveva gli effetti della crisi del ’29. Cosi si esprimeva circa l’ascesa degli economisti liberisti: Il liberismo trionfo della ricchezza prodotta e distribuita iniquamente … si trasforma per l’ostinata insistenza degli economisti liberali nei loro errori, in un vero e proprio “credo”, attestato per un verso su di una rivendicazione apologetica della fondatezza scientifica delle leggi economiche che governano il mercato e per un altro su di un’orgogliosa difesa dalle critiche secondo la quale “l’incompleta applicazione dei suoi principi era la ragione di tutte le difficoltà che ad esso venivano attribuite” . Sembra ieri eppure la lezione degli anni Trenta è ancora attuale.
Andrea Ciarini