Novecento, secolo del progresso

 

Giuseppe Bedeschi sul “Corriere della Sera” del 2 marzo ha attirato l’attenzione su un fenomeno culturale che negli ultimi decenni ha acquistato una corposa evidenza : il crollo del mito del progresso. Un mito che ha accompagnato – e alimentato – il processo di gestazione della civiltà moderna. Una civiltà, per l’appunto, caratterizzata dalla credenza , largamente diffusa , che l’umanità marciava verso una forma superiore di vita collettiva. Elaborata per la prima volta dall’Illuminismo, l’idea di progresso assunse nel XIX secolo le forme di una teodicea secolare con l’arrogante pretesa di aver individuato la legge universale della storia, la quale garantiva che il futuro sarebbe stato necessariamente migliore del passato e del presente. Diversamente articolata, questa idea si trova alla base delle tre grandi narrazioni che dominarono l’Ottocento : l’idealismo di Hegel, il positivismo di Comte e il materialismo storico di Marx .

La perdita di plausibilità delle filosofie della storia a disegno ha indotto non pochi pensatori a proclamare niente di meno che la fine della modernità e a sentenziare che il progresso non è stato altro che un’illusione. Di più : ci sono studiosi – basti pensare a Serge Latouche – che affermano che il mondo in cui noi occidentali viviamo è quanto di peggio si possa immaginare. E lo fanno con una perentorietà che non ammette repliche. Il che non può non suscitare un grande disagio da parte di chi si attiene ai fatti storici. E i fatti storici dicono che il Novecento – a dispetto del fatto che sia iniziato con due orribili guerre che hanno disintegrato l’illusione che la storia marciava irresistibilmente verso una superiore civiltà — ha il diritto , per così dire, di proclamarsi il secolo del progresso.

Infatti, nella seconda metà del secolo scorso i risultati conseguiti dalla civiltà occidentale sono stati per tanti versi straordinari. Prima di tutto , sono stati debellati i due più micidiali fenomeni che , per millenni , hanno funestato l’umanità : le carestie e le epidemie, che periodicamente mietevano vittime a centinaia di migliaia. E’ stato debellato anche un altro micidiale fenomeno : la mortalità infantile. La crescita spettacolare della ricchezza — dovuta alla sinergia fra mercato, scienza e tecnologia — ha offerto al “grande numero” la possibilità di vivere in condizioni decenti ( cibo in abbondanza , case con comfort, abiti di buona fattura, istruzione, assistenza medica, ecc. ). La seconda rivoluzione industriale ha ”sterminato” la classe dei contadini , che vivevano in condizioni igieniche spaventose, che lavoravano penosamente per la semplice sopravvivenza e che avevano come unica speranza la vita eterna promessa dai chierici. Ha, inoltre, migliorato sensibilmente le condizioni di vita degli operai , fino a non molti decenni fa orribili . Ha permesso altresì l’eliminazione dell’analfabetismo e la diffusione della fruizione dei beni dell’alta cultura . Parallelamente, abbiamo assistito al passaggio dalla figura del suddito alla figura del cittadino, munito di un pacchetto di diritti civili, politici e sociali e protetti dai moderni tribuni della plebe ( sindacati e partiti socialisti) . Abbiamo assistito anche alla faticosa istituzionalizzazione del governo della legge – la nomocrazia — in luogo del potere arbitrario degli uomini sugli uomini. Abbiamo, infine , assistito alla quella che il politologo americano Samuel Huntington ha chiamato al “terza ondata” , grazie alla quale bel 29 Paesi si sono liberati, quasi sempre senza spargimento di sangue, di regimi oppressivi.

Questo è il reale bilancio del XX secolo. E si tratta di un bilancio che, se si tiene presente il punto di partenza , non può non essere considerato stupefacente, quasi miracoloso.

Il che, naturalmente, non significa punto che il mantenimento delle conquiste realizzate nel Novecento sia garantito . L’incertezza del futuro non può essere cancellata. Come non può essere cancellato dalla vita umana – individuale e collettiva – il rischio . E questo perché il futuro è aperto: può assumere le forme di una catastrofe – come piace immaginare alle Cassandre della fine della modernità — o, al contrario , quelle di una civiltà di rango superiore. Una cosa , comunque, è certa : che negare la realtà degli straordinari progressi conseguiti nel Novecento significa negare l’evidenza e consegnare ai giovani una immagine tutta negativa della civiltà in cui e di cui viviamo.

 Luciano Pellicani

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