Va bene la crescita, ma i diritti?

Nella lettera recentemente inviata al Presidente del Consiglio Europeo Van Rompuy ed al Presidente della Commissione Europea Barroso, dodici importanti Primi Ministri europei indicano otto priorità sulle quali concentrare gli sforzi nel prossimo futuro, con lo scopo di far ripartire la crescita e mantenere forte il ruolo dell’Europa nel mondo. Firmatari della lettera congiunta sono i capi di Governo attualmente in carica di Regno Unito, Olanda, Italia, Estonia, Lettonia, Finlandia, Irlanda, Repubblica Ceca, Slovacchia, Spagna, Svezia e Polonia.

Il piano per la crescita in Europa, secondo i firmatari, passa dunque attraverso otto grandi sfide che l’Unione Europea deve affrontare di comune accordo. Innanzitutto occorre rimuovere le restrizioni che nel mercato unico ostacolano l’accesso e la concorrenza nel settore dei servizi, il quale pesa quattro quinti nell’economia europea. Secondo, creare entro il 2015 un mercato unico digitale, ossia far lievitare il commercio e gli scambi che avvengono via internet tra cittadini di vari Paesi europei, sia favorendo la diffusione di strumenti sicuri di pagamento e sia eliminando le restrizioni normative che sono di ostacolo agli scambi stessi. Terzo, realizzare entro il 2014 un autentico mercato interno dell’energia, eliminando i monopoli nazionali e le barriere agli investimenti infrastrutturali. Quarto, spingere sull’innovazione creando un ambiente adatto, in cui gli innovatori possano sviluppare e poi vendere le proprie idee, grazie a sempre più numerose iniziative di start-up imprenditoriali. Quinto, riconoscendo i vantaggi derivanti da mercati aperti, concludere accordi di libero scambio con India e Canada; inoltre occorre favorire una piena integrazione economica con gli Stati Uniti e rafforzare i rapporti commerciali con Cina, Russia e Paesi del Sud Mediterraneo. Sesto, ridurre l’impatto, in termini di costi per le imprese, della normativa europea. Settimo, promuovere un mercato del lavoro integrato ed aperto, favorendo la mobilità della manodopera e riducendo il numero delle professioni regolamentate. Infine, costruire un sistema finanziario solido con banche impegnate a fornire servizi a cittadini ed imprese e non dedite solo alla mera speculazione. Ciò comporta implicitamente meno garanzie statali per il settore creditizio.

Tralasciando di parlare delle ovvie ragioni per cui Sarkozy e la Merkel non hanno aderito alla iniziativa degli altri dodici Primi Ministri – basti ricordare, ad esempio, il grado di chiusura dei mercati energetici di Francia e Germania o il ruolo avuto nei due Paesi dallo Stato nel salvataggio delle banche – vorrei qui concentrarmi su un altro punto fondamentale del documento, il quinto, quello relativo alla spinta all’apertura dei mercati.

Nel declinare tale sfida, i leader europei affermano prioritariamente l’importanza di concludere accordi multilaterali di libero scambio e di resistere alla tentazione del protezionismo. In altre parole essi intendono aiutare le imprese europee ad accedere a Paesi terzi e a generare profitti, nella convinzione che poi tali profitti sgoccioleranno verso il basso. Azioni coerenti con il paradigma hayekiano, secondo il quale lo sviluppo crea equità.

Ma nel delineare in tal modo l’apertura del mercato, i capi di Governo europei sembrano dimenticare che in Cina ed in India, o anche negli Stati Uniti, non esiste un diritto del lavoro, riconosciuto e praticato, neanche lontanamente paragonabile a quello europeo. Il diritto del lavoro europeo è frutto di numerose battaglie sociali e costituisce un elemento fondamentale della nostra civiltà. Non un solo accenno si fa nel piano per la crescita alla necessità di globalizzare, oltre che i mercati, anche i diritti dei lavoratori. Non un solo riferimento alla necessità di condizionare l’apertura dei mercati europei unicamente a quei Paesi che rispettino i diritti fondamentali dell’uomo. In tal modo si rischia di importare in Europa disoccupazione e povertà, invece che ricchezza, e sicuramente più disuguaglianza sociale. E’ questa l’Europa che vogliamo? Dovremmo rassegnarci al superamento dello stato sociale europeo, come recentemente dichiarato da Draghi? Il professor Monti, nominato senatore a vita e non eletto, dovrebbe ricordarlo così come dovrebbero ricordarlo le forze di centro-sinistra che oggi lo sostengono in Parlamento e che fra un anno chiederanno il voto agli elettori.

Alfonso Siano

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