Pensieri di un figlio del valore legale della laurea

Forse il Governo Monti abolirà il valore legale dei titoli di studio. Gli imprenditori valutano le capacità, il know-how, mica i pezzi di carta bollata! D’accordo, ma non capisco l’obiettivo: sferzare le università che arrancano o dare più prospettive di lavoro ai giovani? Come che sia, la colpa dei nostri mali non è nel valore legale. Forse il Governo vuole un libero mercato della cultura. Lo voglio anch’io, purché sia regolato, all’europea. Non sfrenato, all’americana: negli USA poche Università d’eccellenza troneggiano su una miriade di college mediocri, il cui compito è sfornare manodopera semi-intellettuale. È giusto che ci sia concorrenza – e, quindi, libertà di scelta – tra università pubbliche e private. Lo Stato però dev’essere l’arbitro della competizione. Senza soffocare l’autonomia universitaria, s’intende. Lo Stato, poi, deve imparare dagli imprenditori, e non già imitarli in toto, altrimenti snatura se stesso. È giusto premiare le università statali ‘virtuose’. Ma è sbagliato incitarle a sbranarsi tra loro, per spartirsi le briciole dei finanziamenti pubblici. Ancor più sbagliato è penalizzare gli studenti che non provengono dagli atenei più prestigiosi. Quelli del Sud non sono al livello della Bocconi? Beh, allora abbiamo il dovere morale di sostenerli con interventi ad hoc: fondi mirati, non a pioggia; assunzione di ricercatori stranieri; incentivi ai professori più bravi affinché emigrino dal nord al sud. Gli studenti meridionali non hanno le stesse opportunità dei loro coetanei settentrionali? Ragion di più per non mortificarli spingendoli a tentare la fortuna a Milano, a Bologna o a Venezia. Chi non verrà ammesso nel sancta sanctorum che possibilità di riscatto avrà?

Forse il Governo vuole la meritocrazia. La voglio anch’io, perbacco! Ma che sia equa, all’europea. Merito e pari opportunità devono andare a braccetto. La competizione selvaggia, figlia del darwinismo sociale, avvelena la psiche degli individui, e danneggia l’economia. La nostra economia. Negli USA, invece, produce innovazione a iosa: gli americani attraggono una miriade di cervelli in fuga dall’Europa e dall’Asia. Quanti scienziati e matematici sono di etnìa anglo-sassone? Quante aziende statunitensi competono sui mercati internazionali perché hanno eccellenti informatici indiani? Negli USA gli afro-americani e gli ispanici ricevono una manciata di borse di studio perché studino a Harvard o a Yale. Ecco che, sciacquata la propria coscienza con un po’ di elemosina, l’élite fa ripartire la competizione, motore surriscaldato dell’American way of life. Vinca il più bravo, fra i figli dei fortunati e dei benestanti! Solo un pugno di “autoctoni’’ – i rampolli delle famiglie bene, piazzati nella Ivy League – arrivano fino in cima alla piramide.

Finché ci sarà il valore legale della laurea, uno studente lavoratore, laureatosi all’università della Basilicata, se è davvero bravo, può “battere” un bocconiano. Il valore legale è solo un nastro di partenza. Non vuol dire che siamo tutti uguali. Dopo la laurea, caro studente, dovrai darti da fare. C’è la buona e la cattiva sorte. Ma se ce la metti tutta, potrai farcela. Se invece non hai neppure la speranza di ottenere un pezzo di carta che valga di per sé, allora a che pro studiare a Bari, a Messina o a Potenza – gli unici luoghi che puoi permetterti? Fin dall’inizio sarai un paria rispetto ai bramini che studiano nelle università “di prestigio”. Allora può darsi che troncherai gli studi. Sarai un’altra pecora nel gregge dei giovani senza prospettive, che non studiano e non lavorano! Un’altra intelligenza sprecata, un’altra crepa nel sistema-Italia.

Io ho una laurea in lingue moderne dell’Università di Urbino. Ero uno studente-lavoratore, e finii due anni fuori corso, perché gli esami li volevo preparare bene. Uno sfigato, per dirla col nostro elegante viceministro Michel Martone — se avessi scelto ingegneria o medicina, avrei finito a 28-30 anni. Io sono un figlio del valore legale. Col mio modesto pezzo di carta, dopo anni di studio matto e disperato, ho superato un bel po’ di concorsi pubblici (docenza nella scuola media, inferiore e superiore; università; Ministero degli Esteri). Sono anche passato al vaglio di università britanniche e irlandesi. Certo, non provenivo dalla scuola di Barbiana: sono cresciuto in una famiglia ”borghese”, per giunta plurilingue, in cui si parlava di politica, di storia, di letteratura, e gli scaffali di casa nostra traboccavano di libri. Fatto sta che nel 1984, quando divenni una matricola a Urbino, la Cà Foscari di Venezia e l’Orientale di Napoli erano ben più prestigiose.

La mia famiglia non era ricca, non poteva mantenermi agli studi. Né avevo diritto a una borsa di studio: mia madre era insegnante e mio padre dirigente. Quindi pagavano le tasse: pur avendo 5 figli, risultavano benestanti. Lo Stato avrebbe dovuto punirmi togliendo punti alla mia laurea? Il diritto allo studio sancito dalla nostra Costituzione è sempre stato aleatorio. Grazie a Dio, però, noi studenti lavoratori potevamo laurearci: non c’era l’obbligo di frequenza. Oggi benedico un sistema che, pur ingiusto, mi ha consentito di mantenermi agli studi; ringrazio i professori che concordavano i programmi d’esame (e non erano mica più facili!); e sono riconoscente a chi ha voluto il valore legale della laurea, che mi ha permesso di competere alla pari coi figli di papà (ne ho sbaragliati un bel po’!).

Oggi sono un funzionario agli Esteri e dirigo un Istituto Italiano di Cultura. Non male per uno studente lavoratore, per giunta sfigato; che ne dice signor vice Ministro? Quella laurea di Urbino, tra l’altro, andò benissimo anche all’Università di Birmingham, che mi accettò in un Master a numero chiuso. E andò bene anche allo University College di Dublin, dove ho conseguito un dottorato. Inglesi e irlandesi, valutato il mio curriculum, mi convocarono per un colloquio. Fui ammesso così. Ecco la selezione che funziona! Sono grato anche a loro: mi diedero un’opportunità di mettere a frutto i miei talenti. Ma la mia avventura è iniziata in una incantevole – e student-friendly – città rinascimentale apollaiata sulle colline marchigiane.

Ci sono tanti modi per garantire a tutti l’istruzione universitaria e per premiare i meritevoli, senza incespicare nell’egualitarismo omologante. Abolire il valore legale della laurea, e dare le pagelle agli atenei come farebbe la Maestrina dalla penna rossa, non mi sembra il modo più intelligente di centrare l’obiettivo.

Edoardo Crisafulli

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

One thought on “Pensieri di un figlio del valore legale della laurea

  1. Caro D. Crisafulli,
    sono d’accordo con lei in merito al rischio che questa proposta possa determinare la classificazione fra università di serie A e università di serie B. Ma ciò non è una conseguenza diretta dell’eliminazione del valore legale della laurea, quanto piuttosto dell’introduzione di una “valutazione” dell’importanza dell’ateneo elaborata da un apposito organo. Allora io mi chiedo, piuttosto che adottare una soluzione del genere che rischia di distorcere il sistema non si potrebbe semplicemente svecchiare il nostro sistema di assunzione per concorsi pubblici semplicemente: abolendo il voto di laurea quale requisito di accesso al concorso ma, ovviamente, prevedere l’assegnazione di un punteggio di ammissione (o finale) differente in ragione proprio del voto di laurea conseguito, piuttosto che dare un peso all’ateneo???????? (passiamo dal peso del voto al peso dell’ateneo).
    Così si che si darebbe a tutti la possibilità di giocarsela: ha un laurea? puoi partecipare; poi ovviamente te la giochi sul campo, a seconda del rendimento conseguito nelle prove di concorso (tenuto conto, giustamente ma solo a questo stadio del concorso, del voto di laurea e degli altri titoli).
    Daniela

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