“Il Mezzogiorno può diventare il vero elemento di traino per lo sviluppo del Paese. Vorrei che la scuola diventasse ciò che in alcuni Paesi si definisce “civic center”, il centro civico della città. Perché non far sì che gli istituti scolastici si trasformino in centri di aggregazione del quartiere? Biblioteche aperte tutto il giorno, palestre”.
L ‘idea del ministro Profumo appare indubbiamente un netto cambio di prospettiva rispetto agli ultimi anni anche se è evidente come si parli sempre meno del Mezzogiorno d’Italia come se fosse condannato ad un ‘inevitabile condizione di arretratezza cronica.
Molti stati hanno provato in questi anni, con successo, delle strategie e degli investimenti per ridurre il gap di sviluppo interno, ed hanno investito in istruzione e infrastrutture producendo degli effetti di sviluppo economico molto interessanti.
La maggior parte degli interventi a favore del Mezzogiorno d’Italia, nel corso dei decenni, invece non hanno avuto risultati soddisfacenti e secondo me dovrebbe ritornare attuale una riflessione sulla questione meridionale.
Rispetto all’approccio assistenzialista del passato oggi appare evidente come bisogna creare le condizioni endemiche per lo sviluppo del sud Italia: stimolare la cooperazione, la fiducia, costruire una classe politica efficiente, rilanciare la scuola e l’università come capisaldi della crescita culturale.
Il nesso tra lo sviluppo economico e l’esistenza di un sentiment collettivo all’interno di una comunità è ormai scientificamente provato e riesce a spiegare la povertà economica di un determinato territorio. Il problema del sud Italia e strettamente legato alla debole capacità di cooperazione e alla scarsa concentrazione di capitale sociale come risorsa fondata sull’esistenza di un corpus di interconnessioni attive fra persone: fiducia, confidenza, comprensione reciproca , condivisione di valori e di atteggiamenti capaci di cementare i membri di una rete o di una comunità, rendendo possibili le azioni cooperative. Secondo l’importante studio di Putnam sulle tradizioni civiche nelle regioni italiane si denota che la bassa qualità delle istituzioni regionali o locali sono da imputare alla minore dotazione di capitale sociale. Il sociologo americano definisce il capitale sociale come la fiducia, le norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di comune accordo. Egli individua una correlazione positiva tra la partecipazione sociale e l’efficienza delle istituzioni amministrative, argomentando che il tessuto democratico e di governo è tanto più sviluppato, quanto più si confronta con una attiva comunità civica strutturata su relazioni fiduciarie, norme di reciprocità e reti di impegno civico diffuse. Come sostiene Carlo Carboni, il capitale sociale è l’elemento capace di influenzare positivamente l’efficienza istituzionale e il suo rendimento in termini di efficacia nel processo di coordinamento delle risorse economiche e sociali.
Sarebbe urgente avviarsi verso una sorta di nuovo patto per lo sviluppo attraverso cui rinsaldare i legami sociali ed organizzativi fra comunità locale, tessuto imprenditoriale e politica: efficienza della pubblica amministrazione , forte e legittimata leadership del governi locali, vocazione innovativa imprenditoriale e presenza di bacini territoriali di innovazione e conoscenza (università, centri di ricerca). L’economia locale è fortemente radicata nel sociale, nella comunità locale: la coesione sociale di una comunità ha rappresentato, in passato, un vettore essenziale per il decollo dello sviluppo(i distretti industriali ad esempio) e , ancora oggi il capitale sociale di un localismo è considerato un fattore produttivo dell’economia locale.
Nel sud Italia spesso c’è un tipo di interconnessione clientelare diffusa e incoraggiata dalla politica locale che inevitabilmente influisce sullo sviluppo del territorio come diceva Sciascia: “un preverbio siciliano (ahimè quanto nefasto!) dice che chi è ricco di amici e scarso di guai”.
L’elemento che incide sulle prospettive di crescita per il rilancio del mezzogiorno d’Italia è legato alle nuove forme di emigrazione di giovani talenti altamente qualificati.
Oggi all’ immobilità della società corrisponde, di contro una nuova mobilità dei singoli. Ad un sistema rimasto ancora bloccato da logiche clientelari, tanti laureati del Sud rispondono con una scelta in qualche modo meritocratica: andarsene, sottrarsi ai contesti di provenienza, senza aiuti sopra le righe, perché si vuole “arrivare” senza scorciatoie: soprattutto è una fuga dal provincialismo, dal clientelismo e dal sistema familistico.
Nella sua importante ricerca Francesco Maria Pezzulli “In fuga dal sud”, dimostra come le migrazioni meridionali qualificate dipendono dallo scarto esistente tra la soggettività dei migranti, in continua crescita, e le reti sociali e professionali nei quali sono coinvolti nei contesti di provenienza, sostanzialmente arretrate.
L’aspetto più drammatico è rappresentato dall’indifferenza delle classi dirigenti locali sempre più autoreferenziali che fanno finta di non accorgersi del problema che svuota le comunità locali.
“per fortuna che c’è l’emigrazione, altrimenti ci sarebbe la concorrenza al coltello e con le briciole che ci stanno ci ammazzeremmo a vicenda”(dal libro di di F.M. Pezzulli “in fuga dal Sud”).
Alla inadeguatezza di molte amministrazioni locali e alla crisi della democrazia rappresentativa e dei partiti si possono aprire delle preziose opportunità di democrazia inclusiva. Dalle scuole, facciamo nascere una nuova cultura critica, libera dal pensiero dominante, aboliamo le barriere che impediscono la partecipazione politica, forniamo gli strumenti per la costruzione di una coscienza critica. Sarebbe importante stimolare la partecipazione politica già dalle scuole, aumentare il senso civico, allevare una classe politica nuova, colta e lungimirante.
Costruiamo una virtuosa sinergia tra università, centri di ricerca e specificità del territorio di riferimento così da rendere il territorio capace di attrarre investimenti e risorse qualificate.
Il mezzogiorno è una risorsa e non un problema per l’Italia. Ripartiamo dal Sud facciamone un laboratorio, il luogo della tutela del territorio, un modello che investe in turismo, cultura, infrastrutture ed ha la possibilità di diventare, dicendola alla Jeremy Rifkin “l’Arabia Saudita dell’energia verde” dello sviluppo sostenibile.
Su questi temi credo che la sinistra italiana dovrebbe convergere individuando nel sud Italia e nei giovani la scommessa su cui rilanciare con forza l’idea di un necessario socialismo europeo.
Antonio Tedesco