Come e’ noto tra le misure previste nella lettera di intenti recentemente presentata dal Governo italiano all’Unione Europea vi e’ quella relativa all’introduzione di una piu’ spiccata flessibilita’ nel mondo del lavoro. In particolare, stando al contenuto del documento, l’Esecutivo si e’ impegnato ad approvare entro il maggio 2012 una riforma della legislazione del lavoro funzionale alle esigenze di efficienza dell’impresa, anche attraverso una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato.
Si sostiene che tali misure siano necessarie per tutelare coloro che oggi non lo sono, ossia i lavoratori delle imprese con meno di 15 dipendenti, i giovani, i parasubordinati, etc, ma il ragionamento risulta poco convincente.
Di fatto, introducendo le misure previste nella lettera di intenti il risultato sara’ una maggiore precarieta’ nel mondo del lavoro, la crescita della disoccupazione in assenza di strumenti di riconversione e ricollocamento, il conseguente stallo dei consumi interni. Invece di fornire maggiori tutele a chi oggi ne e’ privo, si rischia di produrre l’effetto contrario.
Immaginiamo poi le ulteriori conseguenze di tali misure: come gia’ avviene nei Paesi anglosassoni, le imprese avranno la facolta’ di licenziare non solo quando accuseranno delle perdite, ma anche quando saranno in utile. Si pensi al caso di un’impresa che ritenga di non essere piu’ in grado di raggiungere gli obiettivi del proprio piano industriale triennale, perche’, ad esempio, cambiamenti repentini di mercato comportano una riduzione dei ricavi. Quell’impresa, grazie alle nuove norme, avra’ facolta’ di licenziare per ridurre i costi e raggiungere l’utile previsto nel piano.
Se gli intenti dell’Esecutivo si trasformeranno in atti, si colpira’ a ncora una volta il lavoro come era gia’ avv! Enuto la scorsa estate, quando si erano introdotte misure che prevedevano, con l’accordo dei sindacati, una pesante deroga allo Statuto dei Lavoratori. Si ricordera’, infatti, che grazie all’art. 8 della manovra finanziaria bis, i contratti collettivi di lavoro possono essere modificati a livello aziendale con l’accordo della maggioranza delle osservanze sindacali. E’ stato cosi’ conferito un enorme potere ai sindacati: quello di derogare in peius a livello aziendale ai contratti collettivi nazionali, ossia derogare in senso sfavorevole a tutti lavoratori, pur non rappresentando che una esigua parte dei lavoratori stessi. All’epoca dell’approvazione della norma, tra i sindacati, evidentemente interessati ad acquisire maggiore potere, pur se a scapito dei lavoratori, solo la CGIL aveva veementemente protestato organizzando una manifestazione di piazza che ha riscosso un discreto successo.
Nel tentativo di stimolare il mercato del lavoro il Governo rischia di colpire dunque i soliti noti, senza nessun onere serio a carico della classe imprenditoriale.
Infatti, nella lettera di intenti non vi e’ traccia di impegni dell’Esecutivo ad indirizzare le imprese italiane verso una maggiore capitalizzazione e piu’ cospicui investimenti in ricerca e sviluppo, il vero motore della crescita. Come noto, le imprese italiane sono mediamente sotto-capitalizzate: gli imprenditori preferiscono rischiare un capitale minimo nella propria impresa e, al momento dell’ottenimento degli utili, distribuirseli invece che reinvestirli nella stessa. Ebbene, in un contesto di crisi come quello che stiamo vivendo, e’ chiaro che sara’ sufficiente un minimo movimento avverso dei mercati per produrre perdite che l’impresa sottocapitalizzata non sara’ in grado di reggere se non con il ricorso al licenziamento.
Inoltre, prima di arrivare ad introdurre le contestate misure a carico dei lavoratori, il Governo pensi innanzitutto a dare l’esempio riducendo i costi della politica tramite il sostanzi ale taglio di indennita’ e vitalizi parlamentari, poi si concentri sulla riduzione dei costi della pubblica amministrazione, abolendo le Province ed introducendo il pareggio di bilancio in Costituzione, quindi passi a liberalizzare le professioni, abbattendo le barriere all’ingresso poste dagli Ordini professionali e le tariffe minime che sono a tutto svantaggio dei piu’ giovani, infine combatta efficacemente l’evasione fiscale, introducendo una piena tracciabilita’ dei pagamenti e rendendo il piu’ efficace possibile lo spesometro.
A proposito di quest’ultimo punto, non serve leggere le statistiche, secondo cui vi sarebbe in Italia un elevato numero di auto di lusso, incompatibili con il reddito dichiarato dei contribuenti, per rendersi conto di quanto diffusa sia la piaga dell’evasione. E’ sufficiente andare in un qualsiasi ristorante, dove mediamente a fine pasto non si riceve scontrino fiscale alcuno, per rendersene conto. Basterebbero quindi maggiori controlli e, ad esempio, la chiusura coatta per un mese dell’esercizio comme rciale alla seconda infrazione accertata per cambiare radicalmente i comportamenti di molti esercenti.
Quindi, in conclusione, prima di approvare nuove misure che colpiscono ulteriormente i lavoratori dipendenti, e che vanno introducendo in Italia il capitalismo feroce di stampo anglosassone, troppo sbilanciato a favore dell’impresa, il Governo farebbe bene a concentrarsi sui privilegi e le protezioni di altre categorie di lavoratori, a partire dalla classe politica.
Alfonso Siano