Considerazioni sul debito pubblico

 

 

 

Il debito pubblico italiano, che sfiora il 120% del PIL, è motivo continuo di chiacchiere da bar e di propaganda. Così la sostanza politica della questione sfugge ai più. Ah, se solo non ci fosse quella montagna di debiti… allora sì che l’Italia crescerebbe a ritmi germanici! La grande mongolfiera non s’alza da terra perché oberata dalla zavorra lasciataci in eredità dalla Prima Repubblica. Un alibi comodissimo per chi è in Parlamento dal 1994. L’Italia sta per colare a picco? E noi che c’entriamo? La colpa è di chi c’era prima, di chi ci ha governati per cinquant’anni. Berlusconi dice che i debiti li hanno accumulati i catto-comunisti; la sinistra punta il dito contro il famigerato CAF – soprattutto contro Bettino Craxi, sperperatore dei denari del contribuente. Questa favola consolatoria, che piace agli italiani, la strombazzano, guarda caso, anche i principali quotidiani. Quanto è radicata la logica del capro espiatorio in Italia! Qui c’è ampia materia di riflessione per storici e antropologi…

Ma cosa farebbe la classe politica post-tangentopoli se il debito pubblico fosse nella norma, cioè intorno al 50-60% del PIL? Accumulerebbe altri debiti senza batter ciglio. Scaricherebbe cioè il barile sulle gracili spalle degli italiani ancora in fasce o che frequentano le elementari. I politici di oggi sono frustrati e furenti perché non possono fare quello che hanno fatto i loro predecessori.

Le manovre ‘lacrime e sangue’ fanno perdere voti e, quel ch’è peggio, obbligano a scelte drastiche. E già, il vizio dell’attuale classe dirigente – così iper-critica verso chi l’ha preceduta – è quello di traccheggiare tra discorsi fumosi, beghe da comari e risse. I moralisti della sinistra sono ossessionati da Berlusconi, incarnazione del male; i pretoriani della destra aspettano l’occasione giusta per toglierlo di mezzo e spartirsi così poltrone e potere. Sicché quando si materializza lo spettro di una tempesta finanziaria devastante, cosa fa chi sta al timone di comando? La sinistra continua ‘autisticamente’ a bersagliare Berlusconi; il PD, che non sa più a che santo votarsi, non riesce a partorire neppure una proposta seria, ‘di sinistra’. La destra, che è paralizzata, tenta di rimandare ogni decisione epocale al 2013-14. Nel frattempo, chissà, un miracolo ci salverà dal naufragio… C’è voluta la sgridata dell’Europa, nonché l’aggressione degli speculatori internazionali, per costringere il governo a varare una manovra ‘correttiva’ in fretta e furia.

Se c’è una qualità che manca ai nostri politici d’oggi, è il coraggio. Per non parlare della caratura intellettuale, che è ai minimi… Il giurista Giuseppe Guarino, già collaboratore di Guido Carli alla Banca d’Italia e Ministro delle Finanze nella Prima Repubblica, inchioda l’attuale classe dirigente alla sue responsabilità (Corriere della Sera, 15.8.2011): (1) nei famigerati anni Ottanta i titoli di stato erano quasi tutti in mano agli italiani, che spendevano in Patria gli interessi. Oggi metà del debito pubblico è in mani straniere. Ecco perché siamo su una china pericolosa: il costo della quota estera del debito incide per il 2,4% sul PIL, il doppio del tasso di crescita dell’economia! Così fuoriescono di continuo capitali e si aggrava l’indebitamento. (2) ai tempi del CAF, il debito aumentava, certo, ma cresceva anche – e di molto – l’economia reale. Gli italiani diventarono più ricchi; oggi sono più poveri. Quando governava Craxi, l’economia italiana aveva la tigre nel motore. Durante la gloriosa Seconda Repubblica – in particolare nel periodo 1992-2005 – ha viaggiato come una vecchia cinquecento sgangherata: in media, l’aumento del PIL è stato del 1,3%, o giù di lì. Mentre la crescita non dovrebbe essere inferiore al 2,5%!

Morale: le colpe della crisi sono tutte di chi ci governa dal 1994. Craxi assestò un colpo decisivo all’inflazione, bestia nera dei suoi tempi. I politici della Seconda Repubblica non hanno risolto un solo problema del loro (e, ahimè, nostro) tempo. Se avessero impresso dinamismo all’economia o se avessero fatto pagare le tasse a tutti – imprese tutt’altro che impossibili – oggi non saremmo strozzati dai debiti. Non si può dare la colpa delle nostre sventure a chi è scomparso dalla scena politica da vent’anni. Nessun governo post-tangentopoli ha avviato le riforme di cui il nostro Paese ha assoluto bisogno. L’Italia è come un palazzo antico di straordinaria bellezza, che ha potenzialità enormi, ma necessita di una ristrutturazione. E gli amministratori che fanno? Indugiano a tappar buchi qua e là, a verniciare pareti crepate nella vana e folle speranza che, al prossimo nubifragio, il tetto non crolli!

Il cuore del problema italiano è un’economia poco competitiva, che arranca e ansima. Anche se avessimo un debito ‘normale’, con l’attuale ritmo di crescita striminzito potremmo solo… indebitarci ancora di più! Ecco perché questo debito stratosferico è la nostra salvezza. I politici dovranno tirar fuor gli attributi, non potranno più far finta che viviamo a Disneyland. Per ragionare all’orientale, più un problema è grave, maggiori sono le opportunità che presenta. Purché, ovviamente, si abbia il coraggio di agire. Chi pagherà i costi della crisi e della ristrutturazione? Sempre i soliti, e cioè il ceto medio e chi si arrabatta per far quadrare i conti? Oppure scoccherà l’ora della giustizia sociale? I nodi politici nel PDL verranno al pettine: incombe uno scontro tra la scuola di Tremonti – il quale, pur con tutti i suoi errori, proviene pur sempre dalla tradizione socialista – e i berlusconiani ‘duri e puri’, che proteggono i miliardari e i plutocrati. La sinistra, che ha cancellato la memoria del socialismo, non se la passa meglio.

Se vogliamo che l’economia riparta e che il debito diminuisca, va stipulato un nuovo contratto sociale con gli italiani. Un contratto equo. Ma questo possono farlo solo i socialisti, nemici dichiarati del privilegio. Bisogna colpire duramente la rendita parassitaria e la speculazione finanziaria, non i lavoratori a reddito fisso, e neppure le aziende che creano posti di lavoro e ricchezza. Due le mosse strategiche essenziali: (a) patrimoniale e tassazione ad hoc che tolga un bel po’ a chi in questi anni ha accumulato a man bassa proprietà e capitali evadendo (o ‘eludendo’) le tasse; (b) lotta spietata contro l’evasione fiscale, cancro del nostro Paese. Prima, però, bisogna riformare il fisco ispirandoci al modello americano (il contribuente detrae ogni spesa, e poi paga le tasse solo sul netto, il che, peraltro, è un incentivo ad aumentare i consumi). A quel punto chi continuerà a evadere dovrà essere spedito in carcere. L’evasione – non la proprietà! – è un furto. Se tutti gli italiani pagassero quel che devono – assolvendo ai loro obblighi morali verso la loro comunità – avremmo le risorse per rilanciare l’economia. Se tutti gli italiani – dagli anni Ottanta in poi – avessero pagato le tasse il nostro debito pubblico sarebbe la metà di quello che è. L’indebitamento è servito anche a non fare i conti con la cultura dell’illegalità. Non possiamo più permettercelo.

Edoardo Crisafulli

fondazione nenni

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