In un momento in cui i partiti dell’Internazionale socialista subiscono veri e propri tracolli elettorali, conviene rileggere Il sogno europeo di Jeremy Rifkin . In esso , Rifkin mette a confronto due modelli di “società aperta” : quello americano e quello europeo. Il modello americano è iperindividualista : pone l’accento sulle illimitate opportunità concesse ad ogni individuo di cercare il successo, che concepisce in termini prevalentemente economici. Il risultato è un modello di società tutto centrato sul progresso materiale, a dispetto del fatto che nella vita della stragrande maggioranza degli americani la religione ha una presenza particolarmente significativa. Ciò accade poiché il sogno americano risponde a due fondamentali desideri dell’uomo: quello della felicità in questo mondo e quello della salvezza nell’altro. Nessun sogno, prima di questo — osserva con una punta di ironia Rifkin – offriva la prospettiva di godersi il meglio di entrambi i mondi, il “ qui e ora” e l’”aldilà”.
E tuttavia il sogno americano è assai poco attraente per gli altri Paesi poiché è troppo legato a un mondo – quello della frontiera – che da tempo non esiste più. Ma , fortunatamente, dice Rifkin, esiste un’altra versione del modello di “società aperta” : quella europea.
Certo, anche la versione europea della società aperta è individualista. Né, del resto, potrebbe essere altrimenti , ché il valore centrale della civiltà moderna è l’individuo percepito come un soggetto titolare di un pacchetto di diritti che lo Stato è tenuto a riconoscere e tutelare. Ma, nello stesso tempo, il modello europeo si caratterizza per lo sforzo di far coesistere, in un delicato equilibrio dinamico, i principi della Gesellschaft con i principi della Gemeinschaft . E questo è accaduto a partire dal momento in cui è iniziata la fertile collaborazione fra la cultura liberale e la cultura socialista, che è sfociata nella creazione del Welfare State: lo Stato sociale di diritto, lo Stato che assume su di sé l’onere di garantire a tutti i cittadini uno stock minimo di beni primari, di modo che la proclamata libertà non risulti pura retorica . In effetti, attraverso l’assalto fiscale alla proprietà , i partiti dell’Internazionale socialista hanno compiuto una importante re-distribuzione della ricchezza sociale. E nata così “la più umana forma di capitalismo finora conosciuta”, basata , per l’appunto, sul compromesso socialdemocratico fra Stato e mercato. Per questo Rifkin non esita a scrivere che “l’Europa è diventata la nuova città sulla collina: il mondo sta guardando a questo grande nuovo esperimento di governo transnazionale , sperando che offra quell’indicazione così necessaria riguardo la direzione che l’umanità globalizzata deve prendere . Il Sogno europeo , con l’accento che pone sull’inclusività, la diversità, la qualità della vita, la sostenibilità, il gioco profondo , i diritti umani universali, i diritti della natura e la pace, è sempre più affascinante per una generazione ansiosa di essere connessa globalmente e, nello stesso tempo, radicata localmente”.
Prima facie, i recenti rovesci elettorali dei partiti dell’Internazionale socialista sembrano rappresentare una massiccia confutazione dell’elogio rifkiano del Sogno europeo. Ma così non è. E per una ragione molto precisa, che la retorica dei “fondamentalisti del mercato” tende ad oscurare; e cioè che il luogo genetico dell’attuale crisi del capitalismo non è stato il Vecchio Continente , bensì l’America; più precisamente, l’esperimento neoliberista , la cui intrinseca irrazionalità fu diagnosticata con la massima precisione da George Soros prima che il secolo scorso volgesse al termine.
In un sistema economico sempre più globalizzato, era inevitabile che la crisi del modello americano – tutto centrato sul mercato autoregolato — coinvolgesse anche l’Europa. Ed era altresì inevitabile che i partiti di governo fossero duramente colpiti dagli elettori. Così oggi i socialisti pagano il prezzo di una crisi di cui non sono punto responsabili; una crisi che è esplosa in America e che , come una travolgente onda, si è rovesciata sul Vecchio Continente . Il che induce a pensare che, se l’America avesse ascoltato la voce ammonitrice dei liberals , molto probabilmente oggi l’Occidente non si troverebbe a dover fronteggiare una crisi che colpisce duramente le classi che dispongono di scarse potere di mercato. Una crisi – conviene ribadire il concetto – che non coinvolge il modello socialdemocratico , bensì quello neoliberista, che Obama , fra mille difficoltà e ostacoli, sta cercando di correggere.
Luciano Pellicani