L’aspetto forse più straordinario del movimento socialista è la persistente attualità della sua missione, a distanza di quasi due secoli dalla nascita, e nonostante le grandi trasformazioni che hanno investito il mondo nel frattempo. Questo accade perché, a differenza di altre idee politiche, il socialismo ha saputo mettere sin dall’inizio le conseguenze sociali dello sviluppo tecno-scientifico al centro della propria analisi e della propria azione. E lo ha fatto in modo nuovo e originale, lontano sia dall’atteggiamento distruttivo dei luddisti, convinti che la macchina fosse il male assoluto, sia da quello ottimista ma poco lungimirante dei liberisti, convinti che la macchina fosse null’altro che uno strumento per fare soldi. Equidistanti da chi ha pensato che si potessero risolvere le crisi economiche abolendo il mercato e da chi ha dimenticato troppo presto le crisi, per lasciare di nuovo il mercato a briglia sciolta.
Non a caso nel messaggio di presentazione, il “Chi siamo”, si è subito posto l’accento sul fatto che «la scienza e la tecnologia offrono soluzioni che potrebbero cambiare il mondo… Il computer sostituisce la fabbrica e stampa un numero enorme di oggetti “digitando”. E ciò riduce drasticamente il tempo del lavoro: la premessa, come ha detto Marx, del socialismo come liberazione dell’uomo». Ma è stato anche messo nero su bianco che la liberazione dell’uomo attraverso la tecnologia non avviene automagicamente. Anzi, lasciata in mano ad una élite capitalistica rapace e poco lungimirante, lasciata alla sola regolazione di un mercato che non si autoregola, la macchina industriale finisce per impoverire i lavoratori e aumentare la schiera dei disoccupati. Questo lo hanno capito fin da subito i socialisti del XIX secolo, di fronte ai telai meccanici e al vapore, e ne sono ancora coscienti i socialisti del XXI secolo, di fronte ai robot e ai computer. La tecnologia libera l’uomo – a patto che l’intera società, e non solo un’oligarchia, sia posta nella condizione di trarne giovamento. Perché ciò accada serve una precisa e continua azione politica.
Il benessere che ha caratterizzato la società europea dopo la rivoluzione industriale non si deve infatti soltanto allo sviluppo tecnologico e al mercato, ma anche all’azione delle forze socialiste che hanno consentito l’accesso generalizzato alle tecnologie. Macchinari sempre più sofisticati espellono infatti incessantemente i lavoratori dall’industria e dai servizi. E accadrà sempre di più in futuro, visto che sta per presentarsi sul palcoscenico della storia una schiera di robot antropomorfi capace di sostituire l’uomo in quasi ogni lavoro. I socialisti, negli ultimi duecento anni, ovunque sono andati al potere, hanno “compensato” la disoccupazione tecnologica con la diminuzione graduale dell’orario di lavoro, obbligando de facto i capitalisti a mantenere i livelli occupazionali. Quando ciò non è stato possibile, hanno dirottato verso i servizi pubblici o la costruzione di infrastrutture le masse dei lavoratori lasciate fuori dai cicli produttivi, pagandoli grazie alla tassazione progressiva dei profitti e delle rendite di industriali e banchieri. Sebbene i fondamentalisti del mercato non vogliano ammetterlo, con queste politiche, i socialisti hanno aiutato non solo i lavoratori, ma anche le imprese. Arginando il capitalismo dell’economia virtuale, hanno salvato il mercato dell’economia reale.
Riccardo Campa