Liberismo, liberalismo, statalismo

 

In un limpido fondo del Corriere del 5 aprile, Giuseppe Bedeschi pone questioni importanti che ci riportano ad antichi dibattiti sul liberalismo, il liberismo, lo statalismo, tornati attuali alla luce della crisi del mercato.

Faccio alcune precisazioni necessarie. Bedeschi giudica positivamente la politica di liberalizzazione degli scambi promossa da La Malfa nel 1951 perché essa aprì il mercato italiano alle importazioni e costituì un forte stimolo all’ammodernamento dell’industria rendendola competitiva. E’ vero, ma Bedeschi non ricorda che la disoccupazione strutturale, la divisione sindacale e la repressione poliziesca delle agitazioni sociali tennero basso il costo del lavoro e contribuirono pesantemente e dolorosamente al “miracolo”.

Viva dunqe il liberismo di La Malfa con queste precisazioni.

Bedeschi ritiene poi che le “suggestioni statalistiche” del centro-sinistra interruppero quel trend. Sia detto per inciso: Bedeschi omette il ruolo della cultura cattolica ostile al liberismo non meno che al socialismo: che era la cultura e la politica del partito dominante. C’é di più. Bedeschi dimentica che proprio La Malfa, dieci anni dopo, propose, purtroppo inascoltato, un’ardita politica di programmazione diretta al superamento degli squilibri stutturali della società italiana, specie quello del sud, che la politica centrista aveva esasperato e che avrebbe completato il “miracolo” economico con il “miracolo” sociale.

Riproporre oggi quel liberismo è fuori dal mondo: quel liberismo nella sua forma storica di mercato senza regole è superato, morto, le biblioteche si riempiono di libri che ne suonano la campana a morte, mentre si sentono i vagiti di un nuovo statalismo comunitario. Tutto da costruire. Ma dove sono i La Malfa?

Giuseppe Tamburrano

fondazione nenni

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