Ma lo stato dove è finito?

Quando Pietro Nenni andò al governo col primo centrosinistra, credeva di entrare nella stanza dei bottoni. Qualche tempo più tardi trasse lo sconsolato bilancio che i bottoni non li aveva praticamente trovati. Eppure lo Stato di mezzo secolo fa aveva un quadro di comando ancora centralizzato e molto più semplice, dsponeva di un apparato pubblico decisamente migliore e più motivato, poteva azionare la leva strategica delle aziende pubbliche spesso forti, anche sul mercato, ecc.ecc. “La si ricordi, direttore,” mi disse un giorno Amintore Fanfani capo del governo appoggiato dall’esterno dal Psi nel ’62-’63, “fra la decisione di nazionalizzare l’industria elettrica e l’insediamento del primo consiglio di amministrazione dell’Enel passarono soltanto tredici mesi. La si ricordi: tredici mesi”. E in mezzo era avvenuto il colossale (e ben remunerato, certo) esproprio dei potentissimi elettrici privati che tanto condizionavano l’Italia (Edison, Edisonvolta, Sade e consociate, Sip,ecc.). Particolare non trascurabile: non c’era praticamente debito pubblico.

Cosa direbbe oggi un nuovo Nenni? Lo Stato, e per esso il governo, si trova a fronteggiare una immigrazione, concentrata, è vero, nel tempo e nello spazio, che però, secondo Maroni, ha portato in Italia 22.000 persone in un mese e mezzo (secondo altri parecchie di meno). Una cifra non enorme. Perché allora non si è saputa affrontare questa immigrazione per ora nient’affatto “biblica”? Da una parte perché, a forza di tagli lineari le forze di polizia sono state indebolite, demotivate, frustrate, quindi perché c’è sempre meno Stato (ieri per far posto ai commissariamenti tanto cari alla “cricca”). Dall’altra perché si è sperato che l’Europa intervenisse in forze al nostro fianco. Infine per ragioni elettoralistiche: drammatizzare una immigrazione nient’affatto “biblica” serviva e serve a distogliere l’attenzione degli italiani dai problemi giudiziari del premier e, domani, può portare altri voti alla Lega Nord, alla destra in generale, che gioca e giocherà sulla paura dei clandestini. Una situazione da ogni punto di vista disastrosa, sempre più lontana dalla politica che non parla soltanto alla pancia della gente, ma al cuore e alla testa. Una rovina sul piano democratico.

 

Vittorio Emiliani

 

 

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