di Luca Giammarco
Da più parti, soprattutto in questi anni, si sente ripetere: “il corpo umano è una macchina perfetta. Complicatissima, ma perfetta in ogni componente”. Verissimo. Realtà incontrovertibile che anni di studi e ricerche ci hanno dimostrato in tantissime occasioni.
Basti pensare a quello che succede quando qualcosa che il nostro organismo non riconosce come sua o individua come dannosa: vengono attuate difese che noi percepiamo in tanti modi – i più comuni: febbre e dolore localizzato – per eliminare ciò che può causare gravissime conseguenze.
Tuttavia nella scienza c’è un limite che ancora oggi non si riesce a superare. Non tutti, almeno, sono in grado di farlo. Si tratta, beninteso, di un errore ingenuo, ma che a lungo ha finito per assumere gli aspetti di un dogma indiscutibile. E si sa che dogma e scienza non sono mai andati d’accordo.
Qual è questo limite?
Il fatto di considerare la nostra macchina biologica perfetta, il corpo umano, solo nelle sue componenti fisiche.
La scienza, quella medica in particolare – e a questa mi riferisco nel presente articolo –, procede per evidenze oggettive. Tutto ciò che si può toccare sensibilmente, che manifesta patologie o segni di una disfunzione riconducibile a qualcosa di noto o che vanno indagati per cercare di capire ciò che sta avvenendo in quell’organismo, sono i protagonisti delle attività di ricerca medica in tutti i suoi ambiti.
Questo determinismo così assoluto, di stampo positivista, che risente del fantasma del metodo sperimentale (ipotesi, tesi, dati, procedure di analisi, risultati) elimina di netto ciò che è invisibile. Perché? Essendo una disciplina forte, con i suoi metodi e i suoi oggetti di studio ben precisati, la scienza medica lo guarda con sospetto, dubbio e diffidenza, come fosse il prodotto di pratiche superstiziose.
Eppure ci si dimentica troppo spesso che Sigmund Freud, padre della psicanalisi, da medico come formazione, ha creato dal nulla una disciplina che ancora oggi è praticata e che ha proprio a che fare con quell’invisibile che le scienze esatte non considerano. O se lo fanno, con un senso di diffidenza profonda ai limiti del disprezzo.
Il corpo umano è una macchina perfetta proprio perché equilibrato nelle sue varie parti visibili ed invisibili. Non si può toccare con mano la trasmissione di un impulso nervoso. Eppure ne vediamo gli effetti. Ci muoviamo, percepiamo il mondo in cui viviamo, interagiamo con esso provando sensazioni piacevoli o spiacevoli anche in virtù del nostro sistema nervoso. Una lesione midollare, o un danno neurologico, interrompono questa coordinazione straordinaria fra visibile e invisibile e il nostro vivere quotidiano immediatamente ha alterazioni negative: paralisi, percezioni alterate della realtà, stati confusionali, disfunzioni comportamentali, e così via.
Tutto questo lo si osserva attraverso una manifestazione clinica. Ciò che, comunemente, viene denominato sintomo.
Vorrei spiegare meglio questo concetto di visibilità e invisibilità, la cui cooperazione certifica la perfezione del corpo umano, con un esempio pratico noto alla maggior parte delle persone (medici e non solo): la sindrome della spalla congelata.
Cos’è?
Si tratta di una condizione di dolore e immobilità progressiva, ma momentanea, a carico della spalla. In alcuni casi può diventare cronica. In altri, invece, si può riscontrare una recidiva.
Nulla di grave. Ma di fastidioso e doloro certamente sì.
I protocolli riabilitativi in vigore attualmente il più delle volte si mostrano poco efficaci se non del tutto inutili. Perché non risolvono una situazione che ha radici più profonde di quello che la semplice evidenza clinica ci mostra.
Partiamo da un punto: cos’è la spalla?
È, senza ombra di dubbio, l’articolazione più importante che il corpo umano possiede. Non a caso, viene definita nobile. È in grado di svolgere ben 16.000 movimenti. La mano, che tutti considerano l’articolazione essenziale, in realtà non è che il prolungamento fisico del nostro cervello. Ma se non ci fosse la spalla, sarebbe impossibile per la mano operare come comunemente facciamo.
Tecnicamente parlando, la spalla si definisce un’enartrosi. La sua anatomia è complessissima se si pensa che comprende ben cinque articolazioni messe insieme: scapolo-omerale, acromioclavicolare, sternoclavicolare, scapolotoracica e sottodeltoidea.
Se vediamo la sua posizione rispetto al resto del corpo umano, noteremo una cosa alla quale in pochi avranno fatto caso, eppure è di fondamentale importanza: è l’articolazione che si trova all’esatto livello del cuore.
Ora facciamo una semplice analisi – per quanto concesso nello spazio di un articolo – posturale relativa alle spalle di un individuo estroverso rispetto ad uno introverso. Il primo mostrerà un torace aperto, quello che si è soliti chiamare “col petto in fuori”: indice di sicurezza, disponibilità, assenza di timori. Una persona dal carattere introverso, timida, con mille e più timori, avrà una postura chiusa, più raccolta; in una parola: difensiva.
Le spalle, fra le tante, hanno anche una funzione di natura protettiva. Un individuo dal carattere introverso e ravvolto in sé stesso, tenderà ad assumere una posizione a carico delle sue spalle chiusa proprio perché l’articolazione tende a proteggere ciò che risulta vulnerabile e attaccabile: il cuore, centro vitale della nostra esistenza biologica (e non solo).
Questo cosa comporterà? Da un punto di vista anatomico, un malfunzionamento della capsula articolare – un manicotto di tessuto connettivo – che avvolge l’articolazione sostenendo i due capi ossei che formano la spalla: l’acromion e la testa dell’omero. Da questo malfunzionamento deriveranno rigidità e adesioni. Ciò che, in sostanza, chiamiamo sindrome della spalla congelata.
A scartabellare la letteratura scientifica sull’argomento, ci si renderà conto che gran parte delle cause che determinano questa patologia sono tutt’ora sconosciute.
Il corpo umano è una macchina perfetta perché armonizza tutte le sue componenti senza escluderle.
Le fa funzionare in un equilibrio straordinario del quale ci si rende conto soltanto in condizioni di dolore, le quali si manifestano quando la nostra macchina biologica non è più in grado di attivare quei compensi per cercare di andare avanti in una perfezione continuamente rimodulabile.
Se nel trattamento della sindrome della spalla congelata si tenesse conto della funzione di questa articolazione (protettiva) associandola alla psicologia introversa del paziente, e si lavorasse “scientificamente” su entrambi gli aspetti – aspetti che il nostro corpo non disconosce assolutamente, ma fa cooperare –, le cure sarebbero certamente più efficaci e la percentuale di recidive e cronicizzazione della patologia ridotte quasi allo zero.
Ma per arrivare a questo risultato, è necessario che la scienza medica non assolutizzi il lato fisico rendendolo un dogma indiscutibile. È giunto il tempo che inizi a far entrare nelle sue analisi, nelle sue procedure di ricerca e nei suoi vari protocolli di cura quegli aspetti, diciamo “psicologici”, che si manifestano attraverso posture particolari a carico di determinate parti anatomiche e articolazioni. Perché è in questo modo che il nostro corpo parla e ci parla: organi, muscoli ed ossa sono le sue parole.
La sindrome della spalla congelata associata all’aspetto introverso di un individuo ne è un chiaro esempio su cui varrebbe la pena dedicare delle ricerche.
N°106 del 31/03/2023